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Un disegno molto particolare ed efficace nel tratteggiare la storia di una banda di tagliagole in un west crudo e violento
E’ un western di frontiera atipico, per niente eroico, come l’altro della Oblomov, in altre parole: un western d’autore. E’ un racconto quasi fiabesco, come se fosse un racconto di un vecchio ai suoi nipoti e in realtà è così, quindi i disegni sono oltremodo caricaturali, con faccioni enormi à la Giganti di Isamiya, e grotteschi. Il b/n è brutale, scavato nel foglio, quasi xilografico ma il risultato è stato raggiunto – credo - con un “semplice” pennello a secco. Una scelta efficace per raccontare quel periodo storico in cui il sogno americano si fa strada in mezzo a tanta violenza e sangue. Si seguono le sanguinarie vicende di John Glanton, cacciatore di scalpi, a suon di non-linearità; Micol fa un uso frequente di ellissi e pseudo-flashback(essendo tutto raccontato da un narratore interno) per farci finire trasportati dal suo flusso entropico. Non è solo il tempo a piegarsi ai suoi voleri ma anche lo spazio fumettistico in quanto non c’è una ben che minima divisione in vignette, per cui anche in questo caso si potrebbe parlare di flusso di immagini o un eterno divenire di scene. Si tratta di uno storytelling geniale perché sebbene possa apparire caotico è facilmente leggibile grazie a innanzitutto un uso della prospettiva del tutto personale, in quanto è come se tutto fosse in primo piano(ricorda alla lontana l’illustratore coreano Kim Jung Gi), oppure grazie a delle semplici sfumature che indicano il passaggio da una scena all’altra. Per esempio in alto abbiamo un gruppo a cavallo in mezzo ai cactus, in mezzo ci sono solo cactus e quindi e in basso uomini in mezzo ai cactus, per cui si ha la sensazione che quei cactus siano enormi e partano dal basso. L’omogeneità è la chiave per tanta meraviglia espressionistica e viscerale.
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