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Anno edizione: 2007
Tra i più importanti reportage di letterati novecenteschi dalla Cina figurano quelli di Cassola, Malaparte, Parise, Arbasino, Malerba e, quanto agli stranieri, Simone de Beauvoir. Franco Fortini guardò sempre con attenzione alla cultura cinese: fu lui a far conoscere in Italia il grande scrittore Lu Hsun, che comunista non era, ma la cui opera giudicava oggettivamente rivoluzionaria. In Asia Maggiore, il suo resoconto di viaggio pubblicato da Einaudi nel 1956, balza subito all'occhio l'entusiasmo del comunista dinanzi alla rivoluzione finalmente compiuta. Vedeva nel paese di Mao, contrariamente al ben più scettico compagno di delegazione Norberto Bobbio (che Fortini, accusandolo di eurocentrismo e intellettualismo cartesiano, chiama "Delle Carte"), un'"utilità didascalica" da valorizzare. Giunse così ad attribuire a sette anni di comunismo la presenza, in Cina, di rapporti umani "diversi e migliori di quelli vigenti tra di noi", ammirando la folla "composta e degna" fatta di "uomini fermissimi e silenziosi" e "donne modeste e sorridenti". Ipotizzò inoltre che il lavaggio del cervello in Cina non mirasse a soggiogare la persona, ma a "rifondarla". Anche i ricordi sull'Unione Sovietica, confluiti in queste pagine, nel rievocare la "distensione" e la calma esistenza di una nazione uscita dal turbine poco salutare della concorrenza, e nella sostanziale ambiguità delle parole su Stalin, richiamano un punto di vista emblematico di un'epoca. Gli scritti riportati in coda al volume, che giungono a lambire la fine degli anni settanta, sono invece più critici: molte delle iniziali illusioni, pur non ritenute tali da Fortini, si andavano ormai lentamente dissolvendo. Daniele Rocca
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