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Uno dei libri più belli che abbia mai letto
Uno dei libri più belli che ho letto negli ultimi anni. Vite di persone comuni che si intersecano a quelle dei loro cani scomparsi, l'amore che arriva all'improvviso tra due persone dello stesso sesso, e descritto in modo lirico e quasi magico pur nella sua realtà e nel suo dolore, il cane come metafora dell'amore incondizionato, che non muore, non svanisce, ma resta sempre dov'è, a dispetto di tutto. Solo la frase finale "il cuore è una creatura selvaggia e in fuga. Il cuore è un cane che torna a casa" vale l'intero libro. Assolutamente consigliato.
E' un racconto sull'amore ma non d'amore, è un racconto crudo ma non crudele. E' un libro che parla di fede e disincanto, di vita e morte, di etica e opportunismo. Di cosa voglia dire essere e sentirsi selvaggi. Un libro senz'altro da comprare. Da leggere e rileggere. Anche in lingua originale. O da regalare agli amici. Un'autrice da seguire.
Recensioni
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I libri sono come i quadri, ognuno di noi ci vede qualcosa di diverso. E spesso ci rimane dentro qualcosa, talvolta per motivi evidenti, altre per motivi futili o misteriosi: una sfumatura di colore, un soggetto sullo sfondo, una frase ispirata, un personaggio. Il bello è che ognuno di noi percepisce l’opera in maniera diversa dagli altri.
«Non penso più che la mia vita riguardi ciò che mi è successo. Riguarda ciò che ho scelto di credere. Non è quello che vedo, ma quello che penso sia lì fuori. E alla fine, questa fine, ecco quello in cui credo. Il cuore è una creatura selvaggia e in fuga. Il cuore è un cane che torna a casa.»
Cani selvaggi (188 pagine, 15 euro) di Helen Humphreys, edito da Playground, è certamente una storia d’amore, brutale e straziante, amore per i cani e non solo. Ma per me è stato anche un romanzo dalla forte connotazione etica e politica, nel senso più nobile del termine. Tratta di politica intesa come società, come insieme di regole che ci siamo dati nel corso dei secoli, per il bene comune, per la nostra sicurezza, per la nostra comodità, in nome di un progresso civile (civile?) che si sta rivelando autolesionistico e distruttivo.
La storia narrata dalla Humphreys (e tradotta impeccabilmente da Caterina Cartolano e Daniela Fortezza) è piuttosto semplice: siamo in Canada, in un piccolo centro di provincia semiabbandonato dopo la chiusura di una fabbrica di legname. Sei persone hanno perso il loro cane e ogni sera si ritrovano ai margini del bosco, nel tentativo di rintracciare il fedele amico e riportarlo a casa. Ma i cani non torneranno dai padroni. Stavolta sono loro che hanno abbandonato gli umani: hanno scelto di vivere allo stato brado, fanno branco, scorrazzano tra i boschi, sopravvivono grazie all’istinto, e ogni tanto attaccano un capo di bestiame, facendo infuriare gli allevatori locali. Alice e i suoi compagni non si rassegnano alla perdita. Tra lei e gli altri protagonisti (Jamie, Lily, Walter, Malcolm e Rachel) si creano intese, amicizie, antipatie, nascono amori. Attraverso una scrittura fluida, rafforzata da un linguaggio diretto e mai banale, l’autrice si addentra nelle vite dei protagonisti e ci porta a scoprire storie di solitudine e tristezza, che ognuno di loro racconta in prima persona, dando vita a numerosi cambi di registro che ravvivano ulteriormente la potenza del racconto. Ma al centro della storia restano i cani e il vuoto che lasciano nei loro (ex) padroni.
La Humphreys è molto abile a fare della vicenda una complessa metafora della vita e della moderna condizione umana. Ci siamo evoluti, abbiamo scelto di staccarci dalla Natura, ci definiamo civili. Ma come i cani domestici che vivono nei nostri giardini/appartamenti oggi siamo più deboli dei nostri antenati ancestrali, siamo più vulnerabili, siamo schiavi di leggi scritte e non, pratiche e morali, che condizionano continuamente le nostre scelte. Di fatto siamo in gabbia, abbiamo un collare, non possiamo allontanarci più di tanto, sovente non possiamo fare ciò che desideriamo davvero.
Abbiamo ceduto la nostra libertà in cambio di una maggiore (presunta) sicurezza, in cambio dello sviluppo tecnologico che ci ha allontanato in maniera irreversibile dalla Natura. Abbiamo venduto l’anima. Non siamo più degli animali, abbiamo smorzato quell’istinto che caratterizza tutti gli esseri viventi del pianeta. Possiamo ribellarci? Volendo, possiamo inselvatichirci di nuovo? Possiamo tornare dentro la Natura? Forse è tardi. Chi ci prova è destinato a fallire. Nella migliore delle ipotesi viene convinto a rientrare nel gregge e se insiste è abbandonato al suo destino, o forse sarebbe più sensato dire alla sua pazzia. Lily ci ha provato e ha fatto una brutta fine. E se avesse ragione lei, sembra chiedersi più volte Helen Humphreys?
Recensione di Giovanni Di Marco
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