"5 maggio 1996", così è stata datata da Ugo Ischia l'ultima pagina del volume La città giusta, pubblicato oggi da Donzelli, a cura di Monica Bianchettin Del Grano, con scritti di Bernardo Secchi e Kaveh Rashidzadeh. La pubblicazione postuma di un libro è sempre fonte di qualche interrogativo a proposito delle intenzioni dell'autore, delle sue convinzioni circa la qualità del risultato raggiunto, della sua effettiva volontà circa il destino del suo lavoro. In questo caso, è difficile negare l'ineludibilità di questo volume, la sua opportunità, vorrei dire la sua necessità. Ischia ci ha lasciato un testo che, di fatto, inaugura con diversi anni di anticipo un ambito di riflessione che solo negli anni successivi ha visto pronunciare alcune voci su temi analoghi (Edward Soja, Susan Fainstein, Peter Marcuse tra gli altri) e che aveva visto enunciare alcune prime ipotesi da Bernardo Secchi negli anni ottanta. Il sottotitolo (Idee di piano e atteggiamenti etici), opportunamente aggiunto dalla curatrice, indirizza il lettore verso il trattamento che Ischia ha inteso proporre del tema. Si tratta di un libro sugli urbanisti, sulla costruzione problematica e complessa del loro sapere tecnico alla ricerca di una legittimazione, ma anche sulla cultura e le ideologie di un'élite professionale e sulla definizione del ruolo sociale cui nel tempo essa ha aspirato. Dal secondo dopoguerra ai primi anni settanta del Novecento l'urbanistica italiana ha spesso legato la propria azione a principi di giustizia sociale e urbana. In particolare, i presupposti etici del discorso degli urbanisti hanno tentato di colmare lo spazio che sembrava separare l'urbanistica dalla politica: questa l'ipotesi che Ischia propone in apertura del volume. Si tratta di un processo che ha avuto conseguenze entro diverse dimensioni dell'attività degli urbanisti: le loro pratiche di progettazione, le loro teorie e la loro autorappresentazione. A questa flessione del discorso se ne accompagna un'altra che ha privilegiato invece il ragionamento logico-deduttivo, che ha ricercato la trasparenza degli enunciati, la stabilità e la codificazione del discorso, una definizione "oggettiva" dei problemi e del processo di piano. Per Ischia non si è trattato di un conflitto tra due differenti atteggiamenti ai quali corrispondono diverse moralità: quello che privilegia un'"etica della responsabilità" (che si confronta con le conseguenze delle proprie azioni) e quello basato su un'"etica della convinzione" (che opera secondo alcuni principi di giustizia). Ischia vede piuttosto l'alternarsi nel tempo di momenti diversi, in cui l'attenzione degli urbanisti si sposta da questioni di "legittimità interna" (avendo al centro le regole tecniche e la costruzione di linguaggi e procedure) a questioni di "legittimità esterna" (avendo al centro convinzioni comuni e socialmente condivise, ivi comprese le giustificazioni etiche del loro operato). Si tratta di un'alternanza che può essere ricondotta a quei processi di riduzione ed espansione del discorso urbanistico già segnalati da Secchi negli anni ottanta. Sono due forme del discorso che assumono diverse priorità nelle loro finalità: la prima tende alla codificazione dei risultati raggiunti dalla ricerca e alla produzione di un linguaggio comune; la seconda è prevalentemente associata al tentativo di misurarsi con uno spettro di fenomeni che appaiono come nuovi, nella convinzione che il linguaggio e le categorie in uso siano insufficienti allo scopo. Nel primo caso i sensi possibili del discorso sono selezionati, standardizzati, codificati, assumendo le identità e i problemi come dati, perdendo irrimediabilmente alcune delle possibilità "espressive" del discorso ma acquistando maggiori valenze nella comunicazione intersoggettiva. Nel secondo caso, il discorso urbanistico si costruisce più densamente nei suoi significati: rappresenta situazioni attuali e future, aggiungendo ai fatti dell'esperienza qualcosa di addizionale che li interpreta, che dà loro un senso specifico, muovendo spesso argomenti di tipo etico. Queste ipotesi sono impiegate per esaminare in profondità due questioni che più di altre si prestano a evidenziare lo svolgimento degli atteggiamenti etici nel discorso urbanistico dal secondo dopoguerra in Italia. Il trattamento del problema della rendita è centrale per l'analisi dei modi con i quali si presentano e sono trattati i problemi di giustizia distributiva in campo urbanistico. Esso è oggetto nel tempo di una forte evoluzione che vede dapprima insistere gli urbanisti sul carattere "monopolistico" della rendita (e ponendo l'accento sulla figura retorica dello "speculatore"), per poi occuparsi del ruolo che essa assume nella società (rilevando lo spreco di risorse economico-sociali e i conflitti sociali a essa legati). Il tema dei valori ambientali è invece centrale nella discussione sui caratteri intrinseci del valore, costituendo etiche tra le più influenti nel campo urbanistico. Anche in questo caso si riconoscono nel tempo slittamenti nella tematizzazione. Dapprima la questione prende forma nell'aspirazione a un'adeguata attenzione ai bisogni ambientali (soggetti a una continua ridefinizione), in seguito si identifica nella costruzione di un ordine sociale ed economico più prossimo all'ordine naturale (organicismo), infine è concettualizzata come una relazione non risolta tra valori pubblici e valori privati. Ischia, di fatto, costruisce un'"archeologia" di questi temi, ritrovandone le radici nella letteratura di altri momenti del passato e diversi contesti culturali. Queste parti sono tra i risultati più preziosi di questa ricerca che consente di definire attraverso una serie di sezioni storiche il lento modificarsi nel tempo delle questioni esaminate dall'autore in Italia e il legame che esse hanno avuto con altre culture e matrici disciplinari. Mi sembra sia possibile dire che in questo modo Ischia ci propone un'esplorazione in profondità nell'"immaginario disciplinare" dell'urbanistica: quel denso repertorio di elementi cognitivi e valutativi, di tradizioni, di ricordi (e dimenticanze) e di scopi rilevanti entro i quali i componenti di una comunità scientifica tacitamente si riconoscono. L'immaginario disciplinare, evidentemente, non coincide con il sapere dell'urbanista, ma può essere considerato come uno sfondo influente sul quale sono intessuti i saperi tecnici e le pratiche disciplinari. La dimensione etica del discorso urbanistico può forse essere intesa come un suo elemento costitutivo, emergente nei modi più espliciti nelle fasi di espansione del discorso ma riconoscibile, in trasparenza, in ogni discorso o pratica disciplinare, se, come Ischia, si è sufficientemente attenti per coglierla. Francesco Infussi
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