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Un poeta rimane tale anche quando scrive in prosa. È il caso del vicentino Paolo Lanaro che in questo volume esplora con pacata nostalgia e indulgente autoironia i percorsi – soprattutto mentali ed emotivi – che l’hanno portato a raggiungere l’età pensionabile, le impalpabili correnti aeree (brezze, folate, raffiche…) che hanno diretto e condizionato, più o meno consapevolmente, tutte le sue scelte. A partire dalla primissima infanzia, già segnata da una disposizione caratteriale alla riflessione e alla malinconia; passando poi per un’adolescenza e una giovinezza attraversate da utopie politiche e sogni di riscatto sociale, fino all’approdo scontato e disilluso alla professione di insegnante, a cui vengono dedicate le pagine più intense e disincantate. Rimpianti e ricordi: Lanaro li ausculta e ce li comunica con puntigliosa e sorridente partecipazione. Le frequenti malattie, i ricoveri ospedalieri, le ipocondrie; le morti di parenti e amici; gli scrittori e i musicisti più amati; le passeggiate in una città imbruttita dallo scempio edilizio e sulle montagne sempre più invase da gitanti irrispettosi. Ma sono i quarant’anni trascorsi nelle aule scolastiche come insegnante a monopolizzare la memoria dell’autore: dagli esordi nelle supplenze vaganti in paesini sperduti, alle cattedre vinte nei seriosi licei della buona borghesia; dai colleghi frustrati o sindacalmente rivendicativi ai genitori boriosi o reazionari; dagli alunni svogliati a quelli intimoriti. È comunque lo scorrere implacabile del tempo, con l’erosione crudele delle forze fisiche e il pensiero sempre più assillante della morte, il tema che emerge con maggiore evidenza nella scrittura pacata e meditativa di Lanaro, e che gli detta le parole più commosse e malinconiche sull’irrecuperabilità del passato, sull’inevitabilità del distacco. Parole di poeta: «Quando lei aveva vent’anni… Quando c’erano i tuoi genitori che pensavano a tutto».
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