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Avevo già letto un paio di libri della stessa autrice ("Chi ti ama cosi" e "signora auschwitz") non traendone una grossa impressione, ad eccezione della prima parte di "Chi ti ama così", dove, con particolare partecipazione, l'autrice aveva descritto le proprie drammatiche esperienze vissute ad Auschwitz. "Lettera da Francoforte", come impostazione narrativa, si avvicina molto a "Signora Auschwitz": in quest'ultimo il nucleo del racconto è costituito da una tensione tra la volontà di testimoniare e quella di rinunciare, perchè apportatrice di dolori fisici e morali; nella "Lettera di Francoforte" il nerbo narrativo è similmente costituito da una "tensione", questa volta, però, tra la volontà di ottenere un misero risarcimento dal governo tedesco, come sopravvissuta ai campi di sterminio, e la volontà di rinunciare perchè, anche in questo caso, fonte di sofferenza fisica e morale. Come in "Signora Auschwitz" anche in questo racconto alcuni personaggi si schierano a favore della protagonista, perchè persegua il suo obiettivo; altri, soprattutto il marito Carlo, cercano, al contrario, di dissuaderla perchè temono che l'ostinazione della protagonista ad ottenere quella misera pensione possa cagionarle sofferenza e quindi ripercuotersi negativamente sulla sua vita. Il racconto, così, viene costruito su una fitta corrispondenza tra la protagonista e una Fondazione tedesca a Francoforte che, volta per volta, richiede, per l'elaborazione della pratica di risarcimento, nuovi documenti e, assurdamente, le prove tangibili delle sofferenze patite durante gli anni di prigionia nel Lager. La narratrice, scandalizzata per tale ulteriore richiesta, invia un'ultima lettera alla Fondazione e in particolare a un certo J. Tarshawsky che pare esserne il "burattinaio", la persona da cui dipende il destino della sua pratica di risarcimento.
Personalmente credo di aver letto molto di meglio, un libro monotono, appunto per la sua monotonia non mi piace, buoni i propositi nel far riemergere la storia e appunto i periodi relativi al deportamento ma per il resto non ci vedo nulla di chè...
Richiesta di un giusto rimborso anche se solo economico da parte di un sopravvissuto ad Auschwitz. Documenti e allegati, lettere e certificati spediti respinti e ritornati e domande di nuovo inoltrate. Passano gli anni e sempre le solite richieste di documenti mancanti o inesatti, soprattutto manca il certificato che dimostri le sofferenze patite in Lager. Ma c'e' bisogno di chiederlo? Fame botte sporcizia miseria lavoro massacrante e la morte dei propri cari in gas, ma non basta e la domanda e' di nuovo respinta. Altre lettere che vanno e che tornano con le solite assurde richieste. La burocrazia in Germania e' lenta cosi' come le poste, le pratiche passano da una mano all'altra si sostiene, ma quale sara' la verita'? Se la pratica e' solo un numero come lo era il deportato, sconvolgente e' scoprire il perche' queste pratiche nella maggior parte dei casi non verranno mai evase. Un bel libro, il sopravvissuto non solo portera' per sempre le conseguenze del Lager, ma non viene nemmeno riconosciuto come vittima di una follia assurda.
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