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Lettura senz'altro indispensabile per i cultori e gli appassionati di neuroscienze, perchè Libet - forte di un'esperienza trentennale di studi, di ricerca e di esperimenti in campo neurologico - affronta con idee innovative ma con competenza un argomento che resta, nonostante i numerosi progressi della scienza, ancora oscuro e incompreso: quello della coscienza.
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La notorietà del neuroscienziato Benjamin Libet è legata soprattutto all'omonimo effetto, vale a dire alla scoperta che l'istante in cui si manifesta la consapevolezza di un certo evento mentale segue temporalmente il prodursi dell'evento stesso. Come dire che si diviene consapevoli degli eventi mentali solo "a cose fatte"; l'esperienza cosciente è in ritardo sul suo oggetto o contenuto. L'effetto Libet è stato riscontrato per due tipi di consapevolezza, quella relativa all'esperienza sensoriale e quella relativa all'intenzione di compiere un'azione volontaria. Nel primo caso la consapevolezza di una proprietà rilevata percettivamente compare circa mezzo secondo dopo la rilevazione da parte dei nostri sistemi sensoriali; nel secondo caso la consapevolezza dell'intenzione di compiere l'azione precede di circa 150 millisecondi l'azione stessa, ma c'è un riscontro cerebrale dell'intenzione di compiere l'azione che precede l'azione di non meno di 550 millisecondi: la coscienza dell'intenzione volontaria è dunque "in ritardo" di oltre 400 millisecondi.
È evidente quanto la scoperta di Libet sia importante, oltre che in qualche misura sconcertante, soprattutto nel caso della coscienza dell'intenzione: è come se le nostre azioni coscienti non fossero affatto tali, fino al punto di farci dubitare dell'esistenza del libero arbitrio. La nozione stessa di intenzione volontaria diventa inintelligibile, perché è difficile dare senso all'idea di un'intenzione volontaria non consapevole. In realtà Libet non si spinge a negare il libero arbitrio, offrendo un'interpretazione alternativa in base alla quale il libero arbitrio identificato con la consapevolezza dell'intenzione di agire consiste nel potere di inibire l'azione programmata non intenzionalmente, una sorta di potere di veto. Benché in ritardo sull'intenzione non volontaria, infatti, il libero arbitrio ha ancora il tempo di arrestare l'azione (100 millisecondi circa). Con le parole dell'autore, "il libero arbitrio non inizia un processo volontario, ma può tuttavia controllarne il risultato". Ne scaturisce un'immagine della natura umana nella quale noi non sappiamo bene perché decidiamo di fare qualcosa (subiamo, in qualche modo, la "decisione"), ma siamo in grado di valutare queste decisioni ed eventualmente di non portarle a compimento.
Sebbene il centro del libro siano gli esperimenti, riportati con minuziosa quanto necessaria precisione, e la principale lezione da trarne sia che la ricerca sperimentale libera da pregiudizi e onesta nella valutazione dei risultati è il paradigma della ricerca della verità, Libet non si sottrae all'attesa di esporre un punto di vista un po' più ampio sul problema della coscienza e di come essa debba essere studiata. Due osservazioni, tra le altre. Una è che le tecniche sperimentali (relativamente) non invasive oggi assai diffuse, come fmri e pet, non sono secondo l'autore di alcun aiuto nello studio della coscienza; l'altra è che Libet condivide, per la verità un po' superficialmente, la tesi di molti filosofi secondo cui lo studio neuroscientifico e la descrizione fenomenologica sono incommensurabili.
Alfredo Paternoster
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