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il migliore tra gli Amis "primo periodo". leggendolo si capsice cosa intendesse Bellow quando parlava di "linguaggio elettrico". é Amis come lo si conosce - comprensivo di nomi "tendenziosi" e qualche comprensibile caduta nell´autocompiacimento - ma ogni pagina é a modo suo supremamente divertente
Decisamente, un libro non per tutti. Mai letto nulla di simile! Eppure non riuscivo a staccarmi da questo libro...volgare, irriverente, tragico, comico...un turbinio di emozioni contrastanti. Un protagonista decisamente fuori dalle righe, fuori di testa. Mi fa morire quando parla direttamente con il lettore! Pornografia, sesso, alcool a fiumi, violenza, insomma il peggio del ventesimo secolo!
Libro scorretto, irriverente, autoironico, spassosissimo. E’ il primo libro che leggo dell’autore e devo dire che mi ha colpito moltissimo. Buona la scrittura, la storia è narrata in prima persona dal protagonista John Self che si rivolge direttamente al lettore, cercando di instaurare una conversazione-monologo. Il protagonista, come da lui stesso affermato, è drogato di ventesimo secolo, ma più in particolare è drogato della seconda parte del ventesimo secolo, la parte che sancisce il trionfo del capitalismo, della pornografia e degli stravizi in generale. Il protagonista ha una scarsa consistenza morale e culturale, ma nonostante tutto è, apparentemente un uomo di successo: regista affermato di spot pubblicitari, deve compiere il grande balzo per passare al cinema. Ma è anche estremamente ingenuo e quindi si lascia fregare inesorabilmente dai presunti finanziatori del progetto cinematografico. A quel punto perde tutto quello che di materiale possedeva e quindi, nella mentalità consumistica del possesso fine a se stesso, è un uomo finito. Nonostante tutto il protagonista non risulta antipatico, anzi direi che il lettore (almeno con me a funzionato così) tende a simpatizzare con lui. Il libro però non è per tutti, dato che il libro parla di sesso, droga, alcool, in termini anche abbastanza espliciti. Credo che leggerò altri libri di Amis.
Recensioni
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recensioni di Manferlotti, S. L'Indice del 2000, n. 03
Nel proporre le opere di un autore straniero da noi non ignoto ma non proprio celebre, gli editori italiani preferiscono in genere scompaginare l'ordine cronologico in cui i testi vennero redatti in origine, seguendo criteri di marketing a volte chiaramente definiti, a volte nebulosi, a volte enigmatici. Nel caso di Martin Amis, per esempio, a fare da apripista è stato Territori londinesi, scritto nel 1989 e pubblicato da Mondadori nel 1991, vale a dire quando in Gran Bretagna il giovane rampollo del più noto sir Kingsley era diventato ormai molto più che una promessa. Hanno fatto seguito L'informazione (1995; Einaudi, 1996), e Altra gente, (1981; Einaudi, 1998). Ora che la fama di Martin Amis si è in qualche modo consolidata anche nel nostro paese, l'editore torinese ha creduto di poter introdurre senza troppi rischi Money, un corposo romanzo (quasi 500 pagine) che lo scrittore consegnò alle stampe nel fatidico 1984 (non è certo un caso che una delle protagoniste sia accanita lettrice di Orwell, soprattutto della famosissima distopia).
Il libro, va detto dubito, merita attenzione, per una serie di elementi che lo rendono esemplare non solo nella produzione di Amis, ma anche nell'intero scomparto della narrativa postmoderna. "Sono drogato del ventesimo secolo", dice il narratore John Self (che è come dire John Io o John Sé), regista pubblicitario senza scrupoli, pornografo e alcolista, volendo dire che il cinismo trionfante nelle ultime decadi del Novecento, e con esso il più basso materialismo, sono per lui una fede e una bandiera. Nelle prime pagine del libro è a New York per incontrare il produttore Fielding Goodney, che vorrebbe trarre un film dalla sua vita: perfettamente intonate all'edonismo fenomenologico dilagante nel mondo contemporaneo, e a quanto di peggio va elaborando un capitalismo senza freni, le vicende di John Self gli appaiono un prodotto ideale per folle di consumatori altrettanto bacati. Lo vediamo poi fare la spola fra New York e Londra, narrando ad ogni tappa la propria storia, che è al tempo stesso, come si diceva, individuale e idiosincratica di un'epoca di vera decadenza.
Acrobazie sessuali, imprese di coppie in liberissima uscita, sentimenti in saldo, liquori a fiumi, e soprattutto danaro idolatrato fino al martirio (la parola "danaro", che dà il titolo al romanzo, ricorre nel libro con una frequenza impressionante), riempiono pagine governate da uno stile spesso truccato fino all'inverosimile, roboante, tutto giocato sul grido, come avviene in tanta televisione e cinematografia dei nostri giorni. Qualcuno lo ha voluto chiamare punk-poetic: "E continuai a viaggiare intubato nella notte - a viaggiare attraverso la notte che viaggiava in senso contrario, spazzando la terra con tutta la sua violenza. Bevvi champagne sull'ampio trono con fodere rosse, solo, dietro l'occhio dell'aereo, elegantemente isolato dalle frattaglie russanti, tossenti, piangenti, e partorienti di Business, Trimmer ed Economy class. Quanto detesto la mia vita. Chiesi un mazzo di tarocchi. Devo piantarla di essere giovane. Perché? Mi ammazza a furia di essere giovane, ci lascio le penne, cazzo. Guardai il film. Mi fecero scegliere e presi Pookie: era uno schifo, e il vecchio Lorne recitava di merda. Che cosa era successo laggiù con Fielding e Butch? Ah, non ci pensare. Non lasciarti coinvolgere. Non ho testa. Devo crescere, adesso. È proprio ora".
Un narratore incerto nella percezione delle cose e, a dispetto del cognome, di se stesso, spesso scarsamente attendibile, segnato anche nel corpo da uno stigma che gli nasconde o gli rende poco intelligibile parte del reale (ha un congenito difetto di udito, John Self), numerosissime digressioni, flashback, vere e proprie ellissi nel narrato, intrusioni saltuarie dell'autore empirico (nel romanzo fa la sua parte anche un personaggio di nome Martin Amis: un giochetto che al lettore poteva anche essere risparmiato, così come poteva essere eluso l'impiego di troppi "nomi parlanti"), l'uso disinvolto di brandelli letterari (su tutti il già menzionato Orwell, ma anche palesi riferimenti a Otello e Amleto, nonché cooptazioni di temi e moduli espressivi propri di Nabokov e Bellow, due autori che Amis conosce bene e su cui ha scritto anche saggi di buona fattura), scompaginamenti dell'ordine spaziale e temporale, un "comico del discorso" efficace ma non di rado allucinato anch'esso, fanno di Money un testo integralmente postmoderno, da manuale, che il lettore può senza difficoltà accogliere o respingere in blocco.
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