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Anno edizione: 1982
Anno edizione: 2021
I Quaderni di Simone Weil cominciano oggi ad apparirci per ciò che sono: un’opera unica e solitaria, senza ascendenze, senza discendenze, un cristallo perfetto composto di molteplici cristalli. Simone Weil riempì sedici grossi quaderni fra l’inizio del 1941 e l’ottobre 1942: aveva poco più di trent’anni, la guerra era nel suo momento più cupo, la vita la trascinava, come tanti rifugiati, fra Marsiglia, gli Stati Uniti, Londra, dove sarebbe morta nel 1943, dopo aver tentato in ogni modo di farsi paracadutare dietro le linee tedesche. Con prodigiosa intensità, trasmettendoci quasi il pulsare del pensiero stesso nel momento in cui si fissa, Simone Weil annotò in quel periodo questa «massa non ordinata di frammenti»: tutti i temi delle sue riflessioni precedenti, che erano state soprattutto filosofiche e sociali, vi riappaiono e alcune decisive scoperte sono qui testimoniate, come la lettura dei grandi testi sanscriti, fatta con René Daumal. Ma ciò che subito colpisce è l’invisibile presupposto che irraggia la sua luce su queste pagine. Qui, più che mai prima in lei, parla un pensiero trasparente e durissimo, caparbiamente concentrato su un esile fascio di parole che la Weil incontrava interrogando pochi testi inesauribili (le Upanisad, la Bhagavad Gita, i Presocratici, Platone, Sofocle, i Vangeli, san Paolo): amore, forza, necessità, equilibrio, bene, desiderio, sventura, bellezza, limite, sacrificio, vuoto. Nulla come il contatto con queste parole può rendere evidente la miseria della filosofia, della scienza, della religione, della politica abbandonate al loro karman occidentale. Mentre proprio dinanzi a queste parole si accende il pensiero della Weil, che è l’esperienza stessa di «agganciare il proprio desiderio all’asse dei poli». La Weil sapeva perfettamente che quelle parole sono altrettante ordalie, perché fanno traversare il fuoco a chi le pronuncia. Chi può pronunciarle, in quanto sa a che cosa esse si riferiscono, ne esce illeso. Ma quasi nessuno ne esce illeso. Nella bocca di quasi tutti quelle parole sono carcasse deformi. Sotto la penna di Simone Weil tornano a essere cristalli misteriosi. Per osservare quei cristalli con attenzione – e l’attenzione è appunto la suprema virtù praticata dalla Weil, quella che riassume in sé tutte le altre – bisogna essere almeno un matematico dell’anima: Simone Weil lo era.
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L' incontro con il pensiero di questa persona sorprendente deve forse avvenire attraverso letture ugualmente profonde ma più accessibili. La vicenda dei quaderni di Simone Weil non rende semplice accostarsi al suo sentire e pensare; vi è una qualche similitudine con i pensieri di Pascal, ma la religiosità diffusa della Weil non aveva nulla dell' impianto delle riflessioni di Pascal, per quanto anch'esse incompiute. Forse, accostarsi alla Weil tramite ad esempio "Attesa di Dio" è un passaggio utile. Siamo quindi in presenza di uno scritto arduo ma necessario, come ebbe a comprendere anche Albert Camus. Penso che uscire da questa lettura (e da quella dei quaderni successivi) anche con solo una minima comprensione della costellazione di idee che animano questo libro, sarà un arricchimento incalcolabile.
Il più grande tentativo nella filosofia del novecento di costruire una geometria del soprannaturale, attraverso Platone, i vangeli, la Bhagavadgita, il tao te ching, la tragedia greca etc... Gli scritti più alti e sentiti di una donna assoluta, la più pura. Da meditare per una vita intera. In questo libro il lettore si addentra in intuizioni folgoranti, fulminee associazioni di pensiero, riflessioni sui momenti di vita vissuta, domande alla ricerca delle leggi dei moti dell'animo umano. Assolutamente da recuperare in toto: dalla sua devozione di credente (a prescindere da religioni e conversioni) al suo recupero di materiale classico e scientifico. Geniale, per chi ha voglia di confrontarsi non con un romanzo, ma con qualcosa di assai differente; la vita. Ve lo consiglio.
Recensioni
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