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Letto 2 volte perchè troppo ben scritto. Più semplice degli altri 2 romanzi di Wallace
Scritto a soli 24 anni, “La scopa del sistema” è l’esordio letterario di Foster Wallace, un esordio esplosivo che narra le (dis)avventure della giovane Lenore Beadsman alle prese con la misteriosa scomparsa della bisnonna, cui è molto legata, fuggita dalla casa di riposo insieme ad altri pazienti ed infermieri. Oltre a Lenore, si muovono sulla scena tanti altri personaggi (familiari, amici, vecchie e nuove conoscenze), tutti estremamente paradossali, grotteschi, eppure non per questo meno credibili: la storia viene costruita pian piano proprio grazie all’intervento di tutte queste voci diverse, di tutti questi incontri che non sono mai lasciati al caso, come fossero tasselli di un intricato mosaico. Tutti sembrano sapere qualcosa ma nessuno conosce la verità definitiva, ed è per questo che Foster Wallace decide di raccontare tutto, perché tutto serve alla storia e nulla è superfluo, e lo fa attraverso una scrittura esagerata, brillante, inimitabile, ricca, piena di giochi di parole, allusioni e variazioni di registro a seconda dei momenti della storia e dei personaggi coinvolti. E poi, proprio quando il mistero sembra sul punto di risolversi, arriva a sorpresa quel finale interrotto, che è quasi una beffa per chi legge ma anche un regalo: la libertà di immaginare la fine che si desidera per lasciar vivere i personaggi oltre lo spazio della pagina scritta.
Mi domando come sia possibile leggere un romanzo di 550 pagine rendersi conto di non averci capito niente. Cosa voleva dire DFW? L'impressione è che si tratti solo di un fiume di parole senza senso. Personaggi che sono nomi senza volto. Dialoghi inutili. Surreali forse? Boh. Ecco, se c'è una cosa che ho imparato leggendo questo libro è che bisogna diffidare di chi definisce un romanzo come questo "esilarante". La prossima volta che leggerò in quarta di copertina l'aggettivo "esilarante" poserò immediatamente il tomo e mi dileguerò alla velocità della luce.
Recensioni
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Il romanzo d’esordio di uno dei maestri del post-moderno americano: un’ottima lettura per chi si confronta per la prima volta con la prosa debordante di Wallace.
La protagonista, Lenore Beadsman, è alle prese con una sparizione che ha dell’assurdo: la sua bisnonna – una novantaduenne appassionata di Wittgenstein e con problemi di termoregolazione corporea – è scomparsa dall’ospizio in cui risiedeva.
L’anziana donna sembra svanita nel nulla, così come altre venticinque persone tra infermieri e pazienti. Nel tentativo di raccogliere indizi, Lenore inizia a indagare sui traffici della Stonecipheco, l’azienda di alimenti per l’infanzia diretta dal padre, e chiede aiuto al fratello LaVache, genio indolente e accanito fumatore di marijuana. A questa vicenda si intreccia la parabola di Rick Vigorous, datore di lavoro e amante della protagonista, ossessionato da Lenore ma totalmente incapace di assicurarle amplessi degni del proprio nome; il delirio di Norman Bombardini che, per superare l’abbandono della moglie, si propone di fagocitare l’universo; l’improvvisa celebrità del pappagallo di Lenore, Vlad l’Impalatore, diventato l’attrazione principale di uno show televisivo cristiano dopo uno sfoggio d’eloquenza.
Un vortice di personaggi bizzarri e stralunati che, complice lo stile inconfondibile di Wallace, dà vita a un romanzo denso, ricco di citazioni e giochi linguistici, acuto ed esilarante.
Recensione di Sofia Zanderighi
A cura del Master in Editoria dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori
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