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Rimettendo in discussione le griglie classificatorie con cui la teoria letteraria ha cercato di imbrigliare un genere per eccellenza metamorfico e sfuggente, Ivan Tassi attraversa il continente della scrittura autobiografica in tutte le sue diversissime manifestazioni, dalle Confessioni ai Ricordi, dalle Vite ai Pensieri, dalle Memorie ai Journaux intimes. Ognuna di queste tipologie ha la sua specificità, ma tutte sono accomunate dallo scandaloso protagonismo dell'io, dal suo sforzo continuo di giustificare di fronte ai lettori la violazione del divieto sociale di parlare di sé. Ambiguità suprema di un genere che aspira all'imparzialità della ricostruzione storica, ma non può prescindere da un punto di vista parziale, reso opaco dalla rete di interessi, passioni e risentimenti che ancora coinvolgono chi scrive. Ambiguità di un regime "fattuale" che proclama a gran voce il rispetto della verità, ma ricorre ai trucchi della fiction per adescare il lettore, desideroso di ritrovare nella vita vera i meccanismi ben oliati del romanzo.
Ogni autobiografo, Rousseau in primis, cerca di scrollarsi di dosso queste contraddizioni proclamando l'assoluta novità dell'impresa e negando ogni valore ai tentativi precedenti. Gli orizzonti di attesa sono così continuamente modificati, condannando il genere a una statutaria instabilità. Votati all'insuccesso appaiono i diversi dogmatismi di chi tenta di definirne la natura in base a criteri assoluti e normativi: Lejeune, analizzando l'autobiografia sulla base di un "patto di lettura" fondato sull'identità formale di autore, narratore e personaggio, perde di vista la labilità dei confini del genere e l'insidiosa affinità dei suoi procedimenti con quelli del romanzo, Gusdorf, inaugurando un approccio interpretativo storico-filosofico, insiste sulla creazione a posteriori di una leggenda personale che approderebbe necessariamente a un'"apologetica o teodicea dell'essere individuale". Tassi preferisce attenersi al pragmatismo di Starobinski, che sottolinea la libertà del codice e l'alternanza al suo interno di diversi registri di genere, in una miscela da definirsi caso per caso, e all'esempio di Mario Lavagetto che, leggendo Rousseau, prende spunto dai lapsus e dai punti di crisi del linguaggio per mettere a nudo le contraddizioni e la falsa coscienza dell'io.
Il lettore deve farsi detective, per scovare, attraverso piccoli indizi, i segni della manipolazione. Non si può, infatti, scrivere la propria vita senza mascherarla: dietro alle giustificazioni addotte per legittimare lo sconveniente indugio narrativo dell'io su se stesso il piacere della lettura, il valore gnoseologico dell'autobiografia come pietra di paragone per la conoscenza di sé, la funzione storico-documentaria, il valore esemplare della vita in questione si cela la funzione cardinale e ineludibile, la funzione narcisista, protesa a costruire attorno all'io un monumento di fronte alla posterità e un immenso dispositivo di difesa contro le "menzogne" altrui. Sulla base di questi presupposti, Ivan Tassi "mette alla prova", tra gli altri, i capolavori di Agostino, Montaigne, Rousseau, Leopardi, Stendhal e Alfieri, disinnescando a beneficio dei lettori le trappole di cui queste opere sono disseminate e braccando attraverso le loro pagine, senza mai arrivare a svelarla, l'elusiva molteplicità dell'io.
Federico Corradi
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