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Favola pastorale raffinatissima, testo e linguaggio limpido, poetico e sublime. Un'edizione su cui pesa però un vecchio apparato critico pieno di gravi refusi ottocenteschi e di analisi storico-letterarie datate.
Una gradevole favola pastorale sulla contrapposizione tra l'amore trepidante di Aminta e la castità orgogliosa di Silvia, tra il cinismo dissilluso di Tirsi e il sentimentalismo ottimista di Dafne. Silvia nega l'affetto di Aminta, nonostante lui dimostri coraggio e intraprendenza, portandolo al suicidio. Lei abbandona il suo atteggiamento sussiegoso solo nel finale, quando, di fronte alla morte (apparente) di Aminta, si scioglie in un pianto di disperazione, ma tutto si conclude con un happy end. Nonostante sia scritta in forma poetica e in un italiano barocco, è piacevole leggerla ancora oggi.
Amiàm, chè non ha tregua/ con gli anni umana vita e si dilegua./Amiàm chè 'l Sol si muore e poi rinasce/e a noi sua breve luce/ s'asconde, e 'l sonno etterna notte adduce. Splendido.
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