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Assassini dei giorni di festa - Marco Denevi - copertina
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Dettagli

1993
10 dicembre 1993
133 p.
9788838910005

Voce della critica


recensione di Cases, C., L'Indice 1994, n. 3

Era ancora fresco (o caldo) di stampa "Rosaura alle dieci" (cfr. la recensione del numero di febbraio) quando usciva un altro libro dello stesso autore, forse perché il curatore è stato qui aiutato da ben 19 suoi studenti della Setl (Scuola Europea di Traduzione Letteraria), con buoni risultati, d'altronde, poiché niente funziona meglio di un lavoro collettivo ben coordinato. Questo libro ci sembra più macchinoso e letterariamente meno buono dell'altro. La verità che vuol dimostrare è indubitabile ed è espressa da una citazione di autore ignoto che chiude (o quasi) la storia: "I cuori privi d'amore diventano crudeli, avidi e feroci come soldati stranieri in una città vinta. Si abbandonano al saccheggio e al massacro degli altri cuori, e trasformano i giorni di festa in notti di lutto" (di qui il titolo, in cui i giorni di festa sono un genitivo oggettivo e non un complemento di tempo).
I personaggi sono sei fratelli di ambo i sessi la cui naturale tendenza al "nero" prescritto dalla scuola di Buenos Aires si esplica nell'abitudine (pare che siano tutti emeriti fannulloni) di frequentare le veglie funebri della buona società bairese. Di qui ad approfittare di quest'opera di assistenza per derubare i morti e i loro parenti, il passo è breve. Ma un giorno la lettura quotidiana dei necrologi cui il sestetto si dedica li guida a un'enorme villa abitata, sembra, unicamente dal defunto. Rimasti soli, i nostri eroi frugando nelle stanze si imbattono nel cadavere perfettamente imbalsamato della giovane moglie del proprietario, valente tassidermista. Escogitano allora un piano diabolico. Una di loro, Lucrezia, assume aspetto e panni della defunta e si presenta come reduce da un lungo viaggio, pronta ad accogliere l'eredità del marito nel frattempo deceduto. Un avvocaticchio, Valerio, dovrebbe servire da intermediario. È un indio bruttacchiolo, sbeffeggiato dai fratelli, che per perfezionare la commedia impongono a Lucrezia di fingersi innamorata di lui. Tutto funziona a meraviglia e alla fine i fratelli restano legittimi padroni del campo. Ma senza Lucrezia, poiché costei si è innamorata davvero di Valerio (e come potrebbe essere altrimenti, con quel nome da commedia settecentesca?) e attanagliata tra l'amore reale e la finzione cui si è volentieri prestata preferisce suicidarsi. Il tassidermista aveva lasciato un manoscritto sull'arte dell'imbalsamazione, seguendo i cui precetti i fratelli possono immortalare Lucrezia al pari di colei di cui aveva assunto il ruolo.
A raccontare le trame di Denevi si resta senza fiato. Perché questo finale non ci soddisfà? Anche la storia di Rosaura aveva un finale a sorpresa, ma lì la falsa Rosaura aveva assunto quella personalità senza saperne nulla e quando si scopre che è un'altra non c'è nessun dramma, per toglierla di mezzo ci vuole un assassino. Invece qui il lettore è invitato da una parte a tifare per dei cinici perdigiorno, dall'altra a commuoversi perché uno di essi ha un'anima. Nemmeno l'autore è sicuro da che parte sta, poiché dopo la citazione che riprova gli assassini dei giorni di festa un personaggio di nome Iluminada protesta: "E questo cosa c'entra con noi?" Se l'autore è davvero dalla parte dei sentimenti, questa Iluminada è poco illuminata, ma se è un seguace delle nuove etiche (tra cui quelle che sforna puntualmente il famoso Fernando Savater) forse sta dalla parte dei fratelli e alla fine tutto ricomincia da principio, con due bellezze imbalsamate che ne attendono una terza.

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