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Il regista inglese Declan Donnellan non insegna ai suoi attori una tecnica (perché “recitare non è una cosa che si insegna”), ma li accompagna a non bloccarsi, a riconquistare l’innata capacità di osservare la realtà e interagirvi in modo vero. L’attore non deve preoccuparsi di esprimere emozioni o stati, o di fare “la cosa giusta”, ma di reagire autenticamente a quello che succede in scena. Quando cerchiamo di controllare tutti i significati di una storia, inevitabilmente si fallisce. In quest’opera Donnellan ha il pregio di disvelare con arguzia i trabocchetti in cui si può cadere, riconoscendo l’ambivalenza di ogni espressione creativa, la soggettività di ogni significato che non è mai codificato per sempre. Le pagine di questa opera traboccano di riflessioni ed esempi sulla condizione umana, prima ancora di trattare di scena e di interpretazione. Per questo la loro lettura può essere gradita anche da un non addetto.
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