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Una grande studioso di un disturbo talmente complesso ed enigmatico da richiedere una ricerca continua anche solo per approfondire degli aspetti sottili. Il modello che prevede un deficit nella coerenza centrale è fra quelli che maggiormente ha riscosso (e riscuote tutt’ora) un enorme successo. La difficoltà nell’integrare gli stimoli in un insieme di significati unico e coerente rende comprensibili molte delle più sconcertanti reazioni “tipiche” dei soggetti con autismo, e la Frith porta esempi assai concreti (e, a mio avviso, emotivamente toccanti) di bambini affetti da tale disturbo e verso i quali, si ribadisce, andrebbe adottato un approccio alla comprensione meno “de-umanizzante” d più bilanciato tra il prendere in considerazione, da un lato, quelli che sono evidenti deficit sul piano delle relazioni, e, dall’altro, preoccuparsi di valorizzare le risorse di cui molti individui autistici sono portatori.
Uta Frith è una delle maggiori studiose e meglio conoscitrici dell'autismo e questo libro è uno dei suoi tanti libri che si occupa di questo fenomeno. All'interno l'autrice ripercorre le tappe e gli studi che l'hanno portata a definire tale patologia con questo nome. Queste pagine spiegano cosa è l'isolamento autistico ma anche l'intelligenza e i talenti speciali che possiedono coloro che sono affetti da tale patologia. Consigliato dalla docente di Pedagogia, lo consiglio anche per chi non studia e si trova a contatto con autistici, in modo da poterli comprendere meglio.
La CDU (Cognitive Development Unit) londinese, da cui proviene pure la Frith, ha formulato due diverse ipotesi sull'autismo: quella d'un deficit nel comprendere lo psichismo altrui, esaminata ora con metodiche di neuroimaging che chiamano in causa i neuroni specchio (o mirror), e quella d'un persistente DDC (Deficit di Coerenza Centrale, "weak central coherence"), che attesterebbe la cronica incapacità innata d'integrare eventi, emozioni, concetti, esperienze: un deficit originario d'integrazione ideoaffettiva, vale a dire sia sul versante cognitivo, conoscitivo, epistemico, sia sul versante motivazionale, volizionale, valutativo. Quest'ipotesi alternativa è stata elaborata proprio dalla Frith, e anche lei si sta dedicando ai test con tecniche d'imaging per cercare conferme di tipo neurobiologico. Le due ipotesi si differenziano in un aspetto essenziale: gli stessi autori della suddetta scuola si premurano di precisare che sarebbe più opportuno parlare d'un "continuum" etichettabile come Disturbi dello Spettro Autistico, poiché l'autismo "si manifesta con la presenza di tratti [...] che possono essere riscontrati, seppur in forma lieve, anche in molte persone normali" (L. Surian, 2005, p. 19). Detto altrimenti, l'autismo andrebbe ridefinito come uno spettro continuo di maggiore o minore gravità nei sintomi, dai casi di disturbo invalidante fino a un'epidemiologia che sfocia in un'antropologia universale, alla maniera della nevrosi e della psicosi come psicopatologie quotidiane rispettivamente della prima e della seconda metà del '900. Al 1° polo dello spettro sarebbe valida l'ipotesi neurobiologica d'una compromissione SPECIFICA dei neuroni mirror, al 2° polo andrebbe invece applicata l'ipotesi neurobiologica proposta dalla Frith, ASPECIFICA e generalizzabile all'intera condizione umana. Nelle parole della prefazione di Mecacci: "l'architettura cognitiva non è data in forma compiuta alla nascita" (p. VIII), e non è detto che qualcuno vi sia ancora mai pervenuto.
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