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Silvia Bre, originaria di Bergamo, ma residente a Roma, traduttrice di testi letterari ( tra cui il Canzoniere di Louise Labè) e scientifici, ha pubblicato le sue poesie su riviste come “Braci”, “Prato pagano” e “Nuovi argomenti” prima di approdare nel 2001 alla collana di poesia dell’Einaudi con la raccolta “Le barricate misteriose”. Le barricate evocate in questo titolo sono i limiti spazio-temporali che scandiscano l’esistenza, limiti colti in modo nitido in questi versi “ Si tende ancora l’arco dell’aurora / e mi scocca il giorno tra le dita - / oh soglia infinita del parco, mia / gita non iniziata mai…” Questi limiti sono avvertiti in modo più consapevole nei brevi racconti di viaggio, che appaiono in tutta la raccolta e in particolare nelle poesie della sezione intitolata “Stromboli”. Nella settimana poesia di questo ciclo la Bre scrive: “Dietro i bordi assolati delle case / più s’annera la spiaggia che t’accoglie / e contro il monte pare più minuta - / ma larga in campi d’acqua / ed oltremare, finché lo sguardo corre.” Nei versi di Silvia Bre c’è un fluire continuo dal paesaggio esteriore al paesaggio interiore come nella prima poesia della sezione intitolata Il parco, che recita “Io vado destinata a un sentimento / che la forma del parco che ora vedo / e ciò che vedo è il viale in cui l’inverno è rami, pietra, acque, tramontana e passi di una donna che cammina.” Nell’ultima poesia della raccolta Silvia Bre rivela la propria poetica, in cui la ricerca stilistica si compenetra con la ricerca esistenziale, scrivendo “So a cosa penso; al verso buono e chiaro / che cerco di comporre, che mi tiene in pensiero mentre su Villa Glori il cielo è largo / e tra gli alberi il sentiero s’intrica. La mia conversazione con la vita / può solo somigliare alle parole / che tentano un momento di quietarla.” CRISTINA CONTILLI Recensione pubblicata sulla rivista online Kathodik
Recensioni
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Silvia Bre ha tradotto il canzoniere di Louise Labé e non è un caso. Questa raccolta è tutta intessuta di certi bagliori petrarcheschi che vengono evocati via via nel fraseggiare chiaro dei versi. Sono poesie piccole dal respiro alto in cui la voce della poetessa sempre si tiene legata a un registro medio. Di classica melanconicità. Altrettanto non è un caso che la condizione del giorno che più spesso ricorre è quella del farsi della sera: "Vorrei consigliarti ciò che mi consiglia / questa sera velata di marzo / e non so cosa" - sera come incertezza. "E venga poi una fine calma di giornata / come arriva il perdono il perdono a un'eresia - / prima di ridormire per il giorno dopo / lunghi discorsi sulla vita / e belle idee per gioco, abitudini care che mantengono il mondo" - sera come distensione. "Per non quale virtù la sera sembra / la frana inesauribile del cuore - /questo spavento d'ali tra i segreti, / la fretta dei pensieri pipistrelli, / e le corse intricate nelle tane" - sera come mistero. Incertezza, distensione, mistero, un intero repertorio sentimentale calato nei giorni, nelle piazze, nei parchi, nei nomi. Come quello dell'amato Marco che resta fuori dalle sue parole ma che, per un imprescindibile desidero di dichiararsi, va nominato e ancora rinominato. E occasioni che non si fa in tempo a vivere pur essendosi "fatta una festa di restare" e di felicità sottili quali il poter pensare a nulla e "continuamente imparare che il meglio viene a caso. E disimparo".
Camilla Valletti
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