Questo libretto di Raffaele La Capria mi è planato sulla scrivania il 4 marzo scorso, e forse non è un caso. La grande bellezza di Paolo Sorrentino aveva vinto da poche ore l?Oscar dell?Academy come miglior film straniero, e la tv aveva trasmesso la premiazione in prima serata, ottenendo un risultato straordinario: quasi nove milioni di telespettatori. Come la nazionale di calcio, come il festival di Sanremo. Insomma, La grande bellezza di Paolo Sorrentino aveva bisogno il più in fretta possibile di un antidoto (o di un bugiardino), ed è proprio in questo senso che va interpretato La Bellezza di Roma: pezzi eterogenei (elaborati cioè in tempi e in modi differenti) sulla città eterna, scritti da uno degli ultimi venerati maestri rimasti in circolazione.
Esattamente come Servillo/Gambardella, Raffaele La Capria non ancora trentenne approda a Roma dalla Campania pieno di great expectations. Allo stesso modo di Servillo/Gambardella, La Capria coltiva ambizioni artistiche che nel suo caso si tramutano ben presto in un alienante impiego come funzionario della Rai (per Servillo/Gambardella invece ci sarà il purgatorio del giornalismo culturale). Analogamente a Servillo/Gambardella che ottiene il premio Bancarella con il romanzo L?apparato umano, La Capria ha il suo momento di massima notorietà nel 1961, vincendo il premio Strega con Ferito a morte. In modo pressoché identico rispetto alla coscienza del vuoto di Servillo/Gambardella, La Capria con gli anni prende atto che Roma è soltanto l?insensata direzione centrale di tutti gli uffici di direzione, una città dove non ci sono fabbriche, che non produce niente, che dovrebbe amministrare non si sa bene che cosa, specializzata solo in rovine & morte: ?Da Caput Mundi a Kaputt Mundi?.
Insomma La bellezza di Roma di La Capria sembra la biografia ufficiale di Servillo/Gambardella, scritta molti anni prima che Paolo Sorrentino insieme allo sceneggiatore Umberto Contarello s?inventasse questa maschera nata in realtà per smascherare (innanzitutto Roma, ma intesa come metafora di un malcostume nazionale). D?altronde La Grande Bellezza, talvolta, pare a sua volta il prequel de La dolce vita di Federico Fellini, e non il contrario. Questo ribaltamento è vero, clamorosamente, in tutta la parte religiosa, dove Fellini con la scena dei bambini che dicono di aver visto la Madonna ha saputo essere più ironico e più poetico, in una parola più postmoderno di Sorrentino con la sua Santa iperrealista buona più per un?opera di John De Andrea che per un lungometraggio. La linea del tempo cronologico può benissimo essere piegata a proprio piacimento come un pezzo di fil di ferro, se è vero quel che sostiene La Capria: ?A Roma la realtà è solo un momento dell?apparenza?.
In un altro passaggio di questi prelibati brani invece dice che quando il sole riesce a vincere sul senso generale di disfacimento dato dai monumenti e amplificato dal degrado urbano (si arriva ad auspicare l?istituzione di un tipo speciale di vigile laureato in storia dell?arte con tanto di libretto per le contravvenzioni al senso dell?estetica, la bellezza, di nuovo, su tutto), la luce diventa così pura, l?azzurro del cielo così intenso che ?sembra non si possa reggere la pienezza del reale?.
Nella parte centrale del libro, in una conversazione del 1993 con Claudio Velardi, Roma è addirittura paragonata a un albergo, cioè a una città dove ?i romani de Roma bulli e tracotanti, grevi, di battuta pronta, cinici e de core, spesso simpatici? sono una minoranza rispetto ai non romani come lui o ad esempio altri Campani di successo, Franco Rosi che vince il Leone d?oro con Le mani sulla città o Patroni Griffi che ottiene un successo travolgente a teatro con D?amore si muore (per non parlare di tutti gli altri provinciali di successo, a partire dal pescarese Ennio Flaiano). Forse l?unica è prenderla con leggerezza (mai a ridere però, ché la risata può trasformarsi in un ghigno e Servillo/Gambardella è dietro l?angolo), munirsi già vecchi di una bassotta e uscire per raggiungere l?edicola di piazza Navona: ?Se le gode tutte Clementina le puzze di Roma, a una a una, tirandole su per l?imbuto del naso, come una droga?. Quanto all?Oscar al sosia di La Capria, cioè al molto probabile alter ego di Paolo Sorrentino, e cioè a Servillo/Gambardella, io un?ipotesi ce l?avrei: a parte l?ennesima riproposizione sempre vincente del pittoresco italiano (in questo senso però più Vacanze romane che Fellini): Hollywood non ha premiato noi, ha premiato il suo stesso sistema quando era giovane e bello e prospero e premiava i registi italiani che parlavano (anche) di Roma.
Luca Ricci