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Deludentissimo!! Pessima imitazione dei detective americani, con rappresentazioni ridicole dei vari personaggi
Ambientato in una cupa Milano anni 70, il protagonista è un ex poliziotto che tira a campare facendo il detective privato abusivamente, con tanto di patacca fasulla per distintivo che, vista di sfuggita o da un ubriaco, “faceva la sua porca figura”. Solo e solitario, abbonato alla rivista “Sfiga e sfortune”, ha un nome che suona “un po’ come una presa per il culo”: Libero Russo. “Libero di che? Di farsi fregare dal prossimo…” Ed è proprio questo che i suoi ex colleghi cercano di fare: appiopparli un omicidio che non ha commesso solo per il fatto che, giorni prima, aveva avuto un con la vittima. Un po’ poco. Ma abbastanza per volerlo incastrare. Solo alla fine si capiranno i motivi di questo rancore. Per fortuna un suo ex collega e amico (l’unico rimasto) è convinto che Libero non c’entri nulla con l’omicidio e gli procura un alibi, ma a una condizione: deve aiutarlo a risolvere il caso. E così, tra quello che sta seguendo lui (la sparizione di una prostituta che lavorava sotto la protezione del morto) e il nuovo caso, ci ritroviamo a conoscere questo personaggio pieno di paure e paranoie. A scoprire la sua vita e quella che è stato, come è arrivato fino a quel punto e perché. Bel personaggio, molto credibile con il suo linguaggio disinvolto, anzi in un punto un paio di imprecazioni gliele avrei aggiunge volentieri. Ho apprezzato molto l’ironia, le battute spesso esilaranti e geniali, la poesia di alcuni brani, le citazioni musicali (come quelle di Fred Buscaglione, tra cui quella che dà il titolo al romanzo) e cinematografiche (tra cui Kubric e “L’ultima minaccia”, con Humphrey Bogart, con la famosissima frase “È la stampa, bellezza!”, notata subito e chissà quanti come me). E mi è piaciuto lo stile di alcuni brani, frasi brevi per un ritmo sostenuto, brevi istantanee fissate su carta, piccole pennellate d’autore, come le ho definite io. Avventura interessante tanto da arrivare a provare tenerezza per il personaggio che a momenti sembrava volersi far odiare.
Un noir "hard boiled" ambientato negli anni '70 in una Milano devastata dalla droga, dalla delinquenza e dalla prostituzione. Un ex poliziotto, Libero Russo, che si improvvisa investigatore privato con un falso distintivo e con la sua inseparabile "Berta". La cosa che mi ha colpito subito è il linguaggio usato da Pappalardo, fatto di continue metafore che all'inizio mi hanno presa un po' alla sprovvista. Un linguaggio a volte particolarmente "forte" ma decisamente azzeccato per far comprendere la disperazione in cui versa il protagonista. Un uomo solo, sconfitto nella carriera e negli affetti privati con un fantasma che riaffiora insistentemente dal passato e che è stato la causa della fine della sua carriera professionale. Un uomo che vive in una topaia con un gatto che preferisce le coccole del suo unico vecchio compagno di squadra alle sue e con cui divide gli avanzi di improbabili pasti. E proprio con il suo ex collega, l'ingombrante "Marione", indagherà su un complicato caso. Il tutto annaffiato da un sano senso dell'umorismo che a mio avviso rispecchia l'indole dello scrittore. P.S. da non perdere assolutamente la lettura dei ringraziamenti "semiseri" a chiusura del romanzo. Strappano senza dubbio un sorriso al lettore. Nota per l'autore: "giuro di avere letto tutto il romanzo dalla prima all'ultima parola, di non avere bluffato e di essermi concentrata per tutta la lettura del romanzo..."
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