Cosa vale una casa? E per chi? L'interrogativo torna a informare le ricerche e gli studi sull'abitare nella città contemporanea, dopo una stagione nella quale sono state praticate esplorazioni differenti per angolazione e prospettiva: si sono osservate le forme, le esperienze, le condizioni dell'abitare e a ricostruirne le cronache. Si è cercato di capire quali mutamenti negli stili di vita l'abitare riflettesse, quale risposta fosse data alle nuove esigenze abitative dalla cultura disciplinare, dalle politiche e dal mercato, quali discorsi vi si depositassero attorno. Dietro a ciascuno dei termini richiamati (forme, esperienze, cronache) sono riconoscibili numerosi studi, l'esito dei quali è stato soprattutto quello di mettere in luce la diversità delle forme dell'abitare. Qualche volta, l'insistenza sulla diversità ha implicato una sorta di spoliticizzazione: la messa in evidenza della diversità come valore in sé. A valle di queste intense ricognizioni che hanno segnato gli anni novanta e il decennio successivo, come ritornare a ragionare di abitare e abitazione?
Il libro curato da Monestiroli e Semerani può offrire qualche argomento. Raccoglie gli esiti di un progetto Prin, ovvero di un Progetto di interesse nazionale, finanziato dal ministero dell'Istruzione nel 2007 sul tema "Tecniche di progettazione degli insediamenti". E il sottotitolo del volume, Le forme dello stare, sembra richiamare con forza la stagione alla quale si è accennato. Quattro scansioni che fanno riferimento a quattro scuole. La casa è uno spazio scenico per le ricerche condotte all'Università di Venezia da Semerani e dal suo gruppo. Uno spazio che deve fare i conti con esigenze diverse, pur rimanendo entro convenienze e produttività di un regime di mercato. E allora si inventano gusci da abitare: soluzioni di cellule spaziali che possono comporsi in diverso modo. A Torino, nelle ricerche condotte da Giancarlo Motta e dal suo gruppo di lavoro, il tema centrale attiene la ricerca di criteri capaci di garantire la qualità nella progettazione di edifici residenziali e l'accento è posto sull'intera città e sull'indagine cartografica. Ben altro da uno strumento puramente tecnico e descrittivo: ogni carta attraversa la complessità della città e radica l'architettura alla terra. A Forlì il tema è spostato sul rapporto dell'architettura con il progetto urbano e declinato osservando come edifici alti siano in grado di dare risposta alle esigenze di ambienti urbani consolidati o di nuova espansione. Il gruppo guidato da Guido Malacarne rivisita la tradizione dell'architettura moderna (i quartieri progettati da Fernand Pouillon negli anni cinquanta) e assume da lì indicazioni per una città lineare tra Forlì e Cesena. A Milano il problema è impostato in modo ancora inverso. I luoghi dello stare sono le stanze. Non solo stanze di case o di palazzi, ma anche stanze naturali: radure, campi delimitati, luoghi in cui riconoscersi. Le stanze pongono la questione cruciale del luogo di affaccio: verso la corte, verso la strada, verso il paesaggio, e la sequenza dà modo di ripensare a come diversamente si riscrive la consapevolezza del nostro stare sul territorio. Il rapporto con la natura (che nel Novecento diventa egemone) risolve contraddizioni della città del XIX secolo, ma scioglie anche le regole di costruzione e pone all'architettura problemi radicalmente diversi.
In queste ricerche ciò che conta è la tradizione del moderno: quella di Pouillon, di May, di Hilberseimer e degli altri architetti dei quali si indagano i progetti, decostruendoli. E quella dell'architettura italiana degli ultimi decenni del Novecento che vede protagonisti alcuni degli autori di questo volume. Da qui l'importanza dei legami con il progetto urbano e con la città. Peccato che quel progetto e quella città non ci siano più, almeno in quella forma. E anche la casa oggi valga in modo diverso di quanto non fosse entro quel progetto, riannodando diversamente stato e cittadinanza entro un diritto che non è conquistato una volta per tutte. Per questo non valgono le scorciatoie di chi torna a Henri Lefevre, magari scordandosi che la sua posizione teorica nasce a valle dell'intensa stagione di studi condotta in Francia negli anni cinquanta e sessanta e si misura con un progetto di società e di politica molto lontano, come bene dà modo di capire Lukasz Stanek (Henri Lefebvre on space, University of Minnesota Press, 2011). Oggi le condizioni sono cambiate e la casa esprime un diverso problema politico. Ovvero vale in modo diverso, ridisegna diversamente un diritto. Come si misura con questo scarto la cultura del progetto in Italia? Il volume offre l'opportunità di riflettere su questo tema, sulle eredità, le gabbie, gli intralci che il Novecento ci ha lasciato, ma anche sull'ineludibilità di ripensare i presupposti del progetto moderno per un lavoro impegnato su un presente forte, non istantaneo e sfuggente.
Cristina Bianchetti
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