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Letteratura ed ideologia nel Caso Panzini di Tommaso Scappaticci di Dante Cerilli. Il caso Panzini (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000, pp. 188) è un avvincente lavoro critico di Tommaso Scappaticci che tende a delineare di nuova lettura la personalità umana e artistica dello scrittore riminese, di adozione ed elezione, che ricordava di essere di Senigallia (1863- Roma 1939; a p. 176 si legge: 10 aprile 1937) solo quando gli erano richiesti i dati anagrafici. L'assunto iniziale che anima l'esegesi metodologico-critica di Scappaticci è la convinzione che “Studiare oggi Panzini non significa volerlo rivalutare ad ogni costo, ma piuttosto non rassegnarsi all'idea che si tratti di un caso ormai archiviato e rileggerlo soprattutto con la disponibilità a capire il modello di intellettuale che egli impersonò ai suoi tempi” (p. 11). Difatti, caratteristica dell'indagine è l'attenzione al periodo estremamente delicato e complesso che abbraccia lo stesso arco di vita del Panzini, il quale si forma al purismo del canonico Federico Balsimelli, alla scuola classica di Carducci ed all'idealismo platonico di Francesco Acri. Vive a Venezia (1873), Bologna (dove si laurea nel 1886 con una tesi sul Folengo) Milano, (1888) e Roma (1918) mentre si introducevano la crisi del positivismo, l'avvento di speculazioni ideologico-culturali che avrebbero indotto al modernismo, prima ancora al maledettismo, alla scapigliatura, fino alle avanguardie ormai dette storiche ed al successivo ritorno all'ordine, fra le due guerre, e all'affermazione del fascismo: Panzini fu nominato nel 1929 accademico d'Italia e inoltre la sua adesione fu pressoché totale e secondaria e incoerente ne appare la qualità “strapaesana” di cui fa cenno Carlo Muscetta in Realismo neorealismo controrealismo (Milano, Garzanti, 1976, p. 284: il termine è usato a proposito del Panzini “georgico” che adegua il suo ruralismo alle direttive politico-economiche – si pensi a I giorni del sole e del grano –, Scappa
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