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"Questo romanzo potrebbe intitolarsi Alice nel paese della Camorra,tale era la mia ingenuità in materia di criminalità." Le mie riflessioni cominciano da queste piccole righe stampate alla fine del libro e in cui si condensa il senso di un immenso lavoro. Esiste molta letteratura sul Grande Male del nostro tempo che ha assunto varie caratteristiche esaminate fin nei minimi dettagli.Ma questo libro credo sia completamente diverso da tutti gli altri.La scrittura di Laura Caputo ha a che fare con l'antropologia e mi ha fatto ripensare a "L'Ingenuo" di Voltaire che alla fine del '700 aprì la strada a un modo nuovo di guardare all'altro, critico verso il punto di vista europeo ritenuto superiore agli altri.E' allora che nasce una nuova consapevolezza che supera la semplice curiosità e si confronta con esperienze diverse dalle proprie prendendo le distanze dalla cultura a cui si appartiene.L'autrice ci rivela questo travaglio psicologico che si dipana,pagina dopo pagina, attraverso l'umiltà e il rigore professionale,che non hanno niente a che fare con la presunzione saccente tipica di chi sa già tutto perché sta dall'altra parte della barricata. Alice si mescola a ciò che osserva e la sua "ingenuità" è la chiave per leggere la complessità senza lasciarsi rimbambire. Una complessità criptica,che non si fa facilmente risolvere nemmeno da chi in questi mondi ci vive o ci lavora da anni. L'esperienza di Laura,asciutta e libera da ogni pregiudizio,s'intreccia in maniera profonda ai personaggi che incontra,il suo intento non è rivelare la verità assoluta,ma soltanto cercare di CAPIRE.E così Alice scopre individui appartenenti ad altri mondi,ma soprattutto ci racconta il modo giusto per scoprirli. Se nel prossimo vedi il bene,imitalo;se nel prossimo vedi il male,guardati dentro. Alice ci fa guardare dentro e Laura,quando va via e ritorna nel suo mondo è certamente meno ingenua di quando era partita. E un po',grazie a lei,lo siamo di meno anche noi. Maria Rosa Nuvoletta
Introdotta attraverso passaggi severi e obbligatori nel ventre della criminalità organizzata, la giornalista che avvia l'inchiesta si arma di sangue freddo, un alone di sapiente istrionismo e maggiore coraggio di quanto lei stessa non possa dapprima immaginare. A tratti, l'autrice usa con perizia magistrale la squisitezza delle locuzioni dialettali del luogo, trascinando il lettore in dialoghi ben congegnati, capaci di far sussultare anche chi non ha dimestichezza col parlato campano. La struttura del romanzo induce il lettore in un'apnea ritmica, e si avvale di tessere accostate alla stregua di un mosaico che, pagina dopo pagina, sbalordisce in ogni suo riquadro letterario di vita vera. Nei luoghi in cui la giornalista riceve accoglienza mi è parso di percepire gli odori, le luci, la consistenza degli oggetti. I toni delle persone con cui innesca la roulette delle interviste confidenziali risultano spontanei, veritieri, e tuttavia appaiono ammantati da una sorta di linguaggio in codice, fatto anche di soli gesti, di sospiri, a sostituire "quel che non si può dire apertamente". Le radici ataviche delle persone imparentate col boss concretizzano autentici paradossi esistenziali trasudanti la rassegnazione che si alterna con moti di vivo orgoglio. Laura Caputo narra con vigore ogni attimo del tessuto, e riesce a trasmettere sensazioni vivide attraverso una narrazione avvincente, intrisa di emozioni forti commiste alla razionalità necessaria negli sviluppi del pericoloso frangente in cui si caccia la protagonista del romanzo. Se piace la lettura "tutto d'un fiato", scorrevole e colma di emozioni palpabili, Il Castello di San Michele è un romanzo imperdibile.
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