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Libro molto ben curato, scritto da una prospettiva di fede vissuta, che tratta della vita della santa senese in particolare riferimento al Dialogo del 1378. L'autore esordisce con un’ampia e accurata esposizione della vita di Caterina, narrata con una costante attenzione per le vicende storico-politiche di cui ebbe gran parte. Ma il nucleo più consistente e fresco del libro sta nell’analisi della particolare forma di mistica che le fu propria: non “una mistica dell’ineffabile, della teologia negativa e apofatica”, di sapore neoplatonico, ma una mistica che fa della “scrittura”, della parola - paradosso apparente per chi imparò a scrivere solamente pochi anni prima di chiudere la sua giovane vita - il veicolo specifico “al servizio dell’evangelica parrhesìa: l’unica capace di sintesi tra verità e carità”. A tal fine l’autore si avvale delle testimonianze di un critico d’eccezione come Francesco De Sanctis, che grande spazio dedicò alla santa nella sua opera più celebre, e Hans Urs Von Balthazar per quanto riguarda invece il Dialogo. Il filo conduttore dell’opera, come ben indica il titolo stesso, è però la nozione, di derivazione dantesca, di “intelletto d’amore”, contrassegno peculiare della spiritualità cateriniana. Intreccio vivente di esistenza e pensiero, di parole ed opere, vera espressione della vita cristiana autentica, “intelletto d’amore” significa comunione profonda fra “intelletto di vero e affetto di bene”: intelligenza che tende al Vero per conoscerlo, e conoscendolo lo scopre come Bene, quindi lo ama, e crescendo così nell’amore cresce anche nella conoscenza, in un processo di perfezionamento infinito dove la verità si fa caritativa e la carità veritativa: “per esso, si conosce solo ciò che si ama e si ama solo ciò che si conosce”.
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