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Il Novecento si è concluso con la disfatta della cultura di sinistra. La sua parte più avanzata ha avuto dal 1917, dalla Rivoluzione d’Ottobre, al 1989, alla caduta del muro di Berlino, tutto il tempo e tutto lo spazio, dall’Europa orientale alla Cina, per dimostrare la sua superiorità sulle altre scuole culturali. Oggi comunisti ed ex comunisti, ripudiato il loro credo, si sono arresi al loro avversario, si sono convertiti ad un capitalismo più o meno liberale, ma certamente ad un filone “funzionalmente” di destra, ritenuto l’unico compatibile con la modernità e quasi d’obbligo se si mira all’esercizio del potere. La sconfitta della cultura di sinistra non ha portato al trionfo della cultura di destra, a causa della condanna perpetua che pesa su di essa dal 1945, della sua identificazione con i regimi nazional-totalitari allora debellati e non ancora classificati – come si dovrebbe – in base alla loro collocazione in un tempo storico irripetibile, nel clima tragico dell’Europa delle guerre. Coinvolta nella damnatio memoriae di una cultura scomparsa con la generazione che ne era stata la protagonista, la cultura di destra continua ad essere messa da parte, all’indice, anche se in realtà è vittima di un’appropriazione indebita da parte della cultura di sinistra, anche se trova un’applicazione da parte di forze politiche un tempo opposte sotto il mantello ambiguo di un centrismo, che si adatta a tutto e spesso al contrario di tutto, ma senza riflessioni approfondite, con un senso permanente di provvisorietà ed insicurezza.
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