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Era l'alba del secolo il 1900 quando Gaetano Mosca il grande teorico siciliano della classe politica all'indomani del processo Palizzolo per l'omicidio Notarbartolo tenne questa conferenza su quello che già allora giudicava un "argomento vecchio". Laterza ripubblica ora l'intervento (edito per la prima volta nel 1949) facendolo precedere da un'accorata introduzione di Gian Carlo Caselli e Antonio Ingroia i quali ripercorrendo le ultime fasi del braccio di ferro tra la mafia e le istituzioni pongono anzitutto l'accento sulle gravi conseguenze delle recenti campagne di delegittimazione della magistratura e sul "chiaro limite culturale" che oggi in Italia secondo il loro avviso continua a inibire la lotta contro il potere delle cosche. E certo un passo avanti potrebbe essere compiuto alimentando la reazione sociale al fenomeno. Del resto proprio nello spirito antisociale Mosca vede la matrice prima della mafia a inizio Novecento caratterizzata per di più da un'atomizzazione organizzativa con i suoi "doviziosi altolocati" attivi soprattutto nel mondo rurale. Non meraviglia dunque che l'analisi moschiana come segnalano i curatori sia per molti aspetti superata. E se l'affermazione secondo cui la mafia avrebbe attecchito in Sicilia essenzialmente per l'arretratezza dell'isola viene giudicata un'"illusione illuministica" non si manca di definire inadeguato quell'approccio socio-antropologico che spinge l'autore a identificare lo "spirito di mafia" con un malinteso senso cavalleresco dell'onore. Chissà che però anche oggi contro la mafia sempre ricca di appoggi e protezioni d'ogni genere e lungi dall'essere sconfitta non possa rimanere valido l'appello lanciato nelle righe conclusive dal grande liberale per un "severo esame di coscienza da parte di tutta l'Italia".
Daniele Rocca
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