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recensioni di Corsani, A. L'Indice del 2000, n. 02
In una raccolta di articoli successivi a quelli di Cinéjournal (Il cinema e oltre. Diari 1988-1991, Il Castoro, 1997) Serge Daney parla del cinema come di un mezzo espressivo che si fonda su alcuni momenti forti, istanti privilegiati nell'economia del racconto.Qualcosa di analogo si potrebbe dire sulla sua stessa scrittura, che procede proprio per illuminazioni improvvise, suggestioni teoriche che vanno al di là delle osservazioni sui film in uscita, sulle grandes reprises parigine o sulla tv come strumento di cronaca e di finzione.Il volume, che raccoglie gli articoli comparsi su "Libération" negli anni 1981-86, è una carrellata su un periodo fecondo di invenzioni linguistiche, di contaminazioni fra i linguaggi (il videoclip, le telenovela); anni in cui molti autori hanno fatto parlare di "manierismo": Daney ne parla a proposito del Coppola di Rusty il selvaggio (1982), ma gli esempi potrebbero essere molti, anche fra i film da lui recensiti, da Paris, Texas a Lo stato delle cose di Wenders, dal Fassbinder diVeronika Voss allo Scorsese di Toro scatenato.
Ogni tendenza, ogni profilo di regista è occasione per riflettere in maniera più generale, e dal film il discorso vira sul cinema: così l'eredità di Hitchcock in Truffaut (La signora della porta accanto) porta Daney a considerare la compresenza di due velocità nell'inquadratura, una "velocità del desiderio" e una "della censura", e il discorso può riguardare tanti altri film; la celebrazione di Tati gli fa ricordare le sue innovazioni nel campo del sonoro; le riprese di tennis al Roland Garros, l'addio all'Eliseo di Giscard d'Estaing e l'insediamento di Mitterrand lo scatenano sull'uso e abuso dello zoom nel cinema, con toni che ricordano la "carrellata come fatto morale" di Godard. E la riedizione di alcuni film di Hitchcock lo spinge a rilevare come anche dopo gli anni trenta chi molto lavora sull'immagine consideri il suono come "intruso".
Nel suo ragionare "per frammenti" era logico che Daney
apprezzasse la riedizione del Ludwig di Visconti, con la sua aura di incompiutezza (chissà che cosa avrebbe potuto scrivere su Eyes Wide Shut...), ma forse la maggiore sincerità, anche esistenziale, la raggiunge parlando di Stalker; attraverso l'etimologia ("to stalk", cacciare avvicinandosi), il critico sviluppa una riflessione sull'importanza del camminare lungo tutto il film di Tarkovskij: un'attività conoscitiva che rimane la sola praticabile "quando tutti i punti di riferimento sono scomparsi". E proprio Daney affiancò all'attività critica anche quella del viaggiatore, del cacciatore di cartoline in tutti i continenti: un altro approccio progressivo all'oggetto da conoscere, un approccio fatto di avvicinamenti metodici e di immagini congelate, squarci improvvisi su pezzi di realtà e di verità.
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