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Nella dozzina del Premio Strega 2020
Il romanzo di un uomo, delle sue famiglie, delle sue appartenenze, la sua vita visitata con amore e pudore da una figlia per la quale il mondo si misura e si costruisce attraverso la parola letta e scritta.
«Città sommersa è un libro indispensabile» – Robinson
«Avrei voluto che questa storia me la raccontasse lui. Avrei voluto avere il tempo di sentirla. Ma in un certo senso sono consapevole che il libro esiste perché non c'è più l'uomo.»
Il ragazzo corre nella notte d'inverno, sotto la pioggia, scalzo, coperto di sangue non suo. Chiamiamolo L.B. e avviciniamoci a lui attraverso gli anni e gli eventi che conducono a quella notte. A guidarci è la voce di una giovane donna brusca, solitaria, appassionata di letteratura, e questo romanzo è memoria e cronaca del confronto con la scomparsa del padre, con ciò che è rimasto di un legame quasi felice nell'infanzia felice da figlia di genitori separati, poi fatalmente spinoso, e con la tardiva scoperta della vicenda giudiziaria che l'ha visto protagonista. Chi era quello sconosciuto, L.B., il giovane sempre dalla parte dei vinti, il medico operaio sempre alle prese con qualcuno da salvare, condannato al carcere per partecipazione a banda armata? E perché di quel tempo – anni prima della nascita dell'unica figlia – non ha mai voluto parlare? Testimonianze, archivi e faldoni, ricordi, rivelazioni lentamente compongono, come lastre mescolate di una lanterna magica, il ritratto di una persona complicata e contraddittoria che ha abitato un'epoca complicata e contraddittoria. Torino è il fondale della lotta politica quotidiana con le sue fatiche e le sue gioie, della rabbia, della speranza e del dolore, infine della violenza che dovrebbe assicurare la nascita di un avvenire radioso e invece fa implodere il sogno del mondo nuovo generando delusione e rovina. Il romanzo di un uomo, delle sue famiglie, delle sue appartenenze, la sua vita visitata con amore e pudore da una figlia per la quale il mondo si misura e si costruisce attraverso la parola letta e scritta.
Proposto per il Premio Strega 2020 da Enrico Deaglio: «Una giovane donna va in cerca di suo padre, morto di cancro quando era ragazza. Davanti a lei la Città, che un tempo era dominata dalla Fabbrica e dal suo sistema di vita, che nei caffè resiste sulle pareti con "la luce torbida delle carte dei cioccolatini". Siamo a Torino e Marta Barone indaga sugli oscuri, violenti, ma anche felici Anni Settanta, di cui il padre è stato protagonista, testimone e vittima. "Città sommersa", denso di pietas non immemore, è un esordio letterario fulminante.»
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Lettura interessante e informativa rispetto agli anni di piombo e alla figura del padre dell'autrice, Ho però trovato la scrittura a volte un po' artificiosa. 3 stelle e mezzo.
bellissima storia di una famiglia che dopo la morte del padre viene a conoscenza di un lato sconosciuto della vita del genitore. da leggere assolutamente
grande romanzo scritto da Marta Barone in cui racconta un papa' mai conosciuto, o meglio, un nuovo papa' che lei non conosceva. sono gli anni bui in una citta' come torino. vicende, storie che la scrittrice racconta raccogliendo ricordi da tanti amici del padre
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
«La leggenda tenta di spiegare l’inspiegabile», scrive Kafka in Prometeo, «e dal momento che proviene da un fondo di verità, deve finire nuovamente nell’inspiegabile».
Pare avere simile origine la fiamma che illumina la Città sommersa (Bompiani, 2020) di Marta Barone, scrittrice torinese già autrice di libri per ragazzi, che al suo esordio nella narrativa “adulta” si assesta tra i dodici semifinalisti del Premio Strega. Spiegare l’inspiegabile è, del resto, l’intenzione arcaica di ogni storia, come ben sanno i due protagonisti di questo romanzo, ovvero Marta, figlia, trentenne e voce narrante, e Leonardo Barone, padre, defunto, e oggetto dell’indagine. Perché se è vero che tutti i romanzi sono, in qualche modo, dei romanzi gialli, ne la Città sommersa quello dell’investigazione si impone come corso d’acqua principale da cui si dipanano i diversi effluenti dell’indeterminatezza del ricordo, dell’inattendibilità della parola, dell’ineffabilità dell’essere umano.
Tutto ha inizio con il ritrovamento, da parte di Marta, delle carte di un processo riguardante il padre, condannato e poi assolto per partecipazione a banda armata nella Torino tumultuosa del periodo a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Si apre così uno spiraglio inedito sulla vita passata di Leonardo Barone, quella vissuta prima della nascita della figlia, una vita sommersa di cui Marta sa poco o niente ma che, nonostante gli avvertimenti della madre («I fatti. Non saranno mai i fatti, lo sai, vero?») e per un semplice quanto indomabile «atto di interesse», sembra del tutto intenzionata a riportare a galla nell’ambizioso, forse vano tentativo di rispondere alla domanda: chi era Leonardo Barone?
È questa l’occasione, oltre che per l’innesco del romanzo, anche per la prima apostrofe al lettore («Tu che ben conosci i manuali di scrittura, smaliziato lettore, avrai già individuato il fucile appeso alla parete nel primo atto del dramma») che rende sin dalle prime pagine esplicita, e lo sarà sempre di più, l’intenzione artistica dell’autrice: la Città sommersa non è un’autobiografia, né una biografia; non è un memoir e non è una ricostruzione storica degli anni di piombo. Ma cos’è, dunque, questa “città sommersa”? Per raccontarlo, si proceda con la storia.
La vita di L. B. (così prende a nominarlo Marta nel tentativo di plasmare quello «sfuggente personaggio», quella «figura autonoma» scissa dall’uomo che aveva conosciuto) riemerge tra testimonianze inattendibili e logori atti processuali, frammenti di articoli di giornale e fotografie ingiallite. Tra le pagine del libro, un po’ come nei grandi romanzi, macrostoria e microstoria si intrecciano, la prima finendo per travolgere inevitabilmente la seconda.
Dalle acque torbide dei confusi, furenti, oggi quasi incomprensibili anni ‘70 – in cui ci si immerge con lo sguardo distaccato e critico che solo cinquant’anni di storia vissuta alla velocità della luce, oltre che al passaggio di due generazioni, consentirebbero – affiorano quindi i difetti e le contraddizioni di un uomo (un padre inadeguato, spesso svagato, «la parodia di un adulto»), ma anche i suoi pregi e le sue qualità, come quel «fuoco violetto» di cui chiunque l’abbia conosciuto tenta di afferrare la consistenza, una sorta di «grandezza» che interseca carisma e generosità, una «luce incantatoria» che finisce per illuminare, a distanza di anni, la stessa figlia, adesso portata, quasi costretta in molti passaggi a chiedersi come accidenti fosse possibile che il frequentatore di quegli ambienti fosse proprio suo padre, lo stesso L.B. che lei aveva conosciuto, o pensato di conoscere.
Con una sensazione di straniamento parallela a quella dell’autrice, il lettore, se afferente alla generazione dei millennials, potrà quindi chiedersi, scorrendo le pagine e scoprendo dettagli distopici della storia italiana recente che forse gli sfuggivano, “ma davvero tutto questo è successo?” Se appartenente invece alla generazione che quei fatti li ha vissuti in prima persona, e che forse, per un naturale meccanismo di autoconservazione, ha rimosso dalla sua memoria, potrà interrogarsi: “ma davvero eravamo così?”
Tuttavia, come si è detto, l’intenzione di Barone non è certo quella di scrivere un saggio storico. Ad apparire luminosa, pagina dopo pagina, è infatti la portata letteraria del romanzo: tra l’alternarsi di registri (giuridico, giornalistico, burocratico), emerge lo stile personale dell’autrice che, nel succedersi di ricordi, indagini, citazioni, rivela un sapiente uso della parola, assestando qua e là picchi formali che permettono alla storia di trascendere dalla realtà, dalle strade travolte dalle proteste, dal grigiore dei palazzi, dallo scorrere rosso del sangue; tra questi, una menzione speciale meritano le incursioni dell’autrice tra le parentesi in cui, a dispetto del loro apparente significato marginale, si insinuano snodi e riflessioni fondamentali.
E dunque: cos’è La città sommersa di Marta Barone? È certamente una lunga, tenera, lucida riflessione sull’ineffabilità del passato, sull’evanescenza delle nostre vite, sull’impossibilità di resuscitare gli istanti e i loro protagonisti, i loro pensieri, le loro voci. È il tentativo di fare luce sulle zone d’ombra, gli enigmi, i misteri dechirichiani che avvolgono i protagonisti, i loro corpi smaterializzati nei luoghi che hanno frequentato, gli odori spazzati via dal vento, i volti incastrati in foto che forse qualcuno conserverà, ma forse no, dato che questo è il destino delle vite degli uomini, ovvero quello di finire, di essere, forse, ricordate e, se si ha la fortuna di avere una figlia scrittrice, magari anche scritte.
«La leggenda tenta di spiegare l’inspiegabile», scrive Kafka in Prometeo, dopo averci però spiegato che di quest’ultimo, e di tutte le sue storie, non era rimasta che «l’inspiegabile montagna rocciosa» in cui si dice fosse stato incatenato. Ma quella montagna esiste perché esiste la sua storia, così come, del resto, scrive Barone: «Il libro esiste perché non c’è più l’uomo».
Recensione di Ignazio Caruso
I vincitori del concorso "Caccia allo Strega" 2020
Beatrice
È difficile rappresentare la vera essenza di un uomo. Lo è ancora di più se quell’uomo è un padre con cui hai avuto un rapporto complicato per gran parte della vita. Nonostante l’ardua impresa, Marta Barone ha provato lo stesso a intraprenderla per un’impellente esigenza sorta in lei dopo la morte prematura del genitore. «On ne choisit pas son sujet» dice giustamente Flaubert e questa è solo una delle tante citazioni colte che il lettore può gustare all’interno del romanzo. Oltre al suo impianto letterario, a rendere l’opera degna di essere letta è anche il minuzioso lavoro di ricerca e documentazione che vi è dietro. L’impressione è che l’autrice si sia impegnata a ricomporre i pezzi dell’esistenza paterna per scandagliare meglio quelli della propria. Il risultato è una ricostruzione storicamente attendibile degli anni della contestazione e del terrorismo rosso, visti attraverso gli occhi di chi li ha vissuti in prima persona. Nel cercare di ripercorrere un pezzo della storia individuale del padre, in realtà Barone ci restituisce un’immagine verosimile di un pezzo importante della nostra storia collettiva, un pezzo che non dovrebbe mai essere dimenticato. Il romanzo è quindi utile soprattutto a coloro che quel periodo storico non l’hanno visto, perché dà conto in maniera efficace del clima del tempo. Si viene letteralmente catapultati nei più drammatici episodi che hanno caratterizzato l’Italia degli anni ’70 e ’80. Ciò è merito anche di una scrittura che non si esime dal dare un giudizio sulle vicende e allo stesso tempo le racconta usando quella pietà così caldamente raccomandata all’autrice da uno degli intervistati. Alla fine, però, nel delineare il ritratto di un uomo c’è sempre qualcosa che rimane insondabile e sfugge alla comprensione. Nel mistero di un’esistenza individuale si possono cogliere solo bagliori per vedere quel che resta impigliato nella luce. E quel che resta qui è l’amore reciproco tra un padre e sua figlia. Copertina: 5 Storia: 5 Stile: 5
madif
La narratrice di Città sommersa ci porta sott’acqua. A Kite?, la città inghiottita dal lago Svetlojar. Nel fondale della sua vita ci sono tante cose non dette. C’è Torino, la città dove innanzitutto è nata. Milano che la adotta ma la lascia sommersa. Dai ricordi di un padre che ha avuto tanti ideali e poco spazio per lei. Che è morto senza farsi conoscere. Per non annegare, si spoglia. Del bisogno di affetto, dei nomi. Trasforma suo padre in L.B. e lei diventa Marta, la figlia di L.B. Ricostruisce la vita dell’uomo prima che diventi padre. Ogni pagina che sfogliamo toglie la polvere di piombo da Torino e rivela gli anni ’70, delle lotte sanguinose. L.B.lotta per cambiare la Storia, quella dei giornali, che Marta ci racconta perché è Storia collettiva. In prima persona. Dietro gli strati della copertina, non ci sono vetrine di negozi ma un volto.Difficile far coincidere la figlia e la scrittrice che c’è in lei. In mezzo c’è un talento. Le sue parole sono stalattiti di ghiaccio che si ergono come pinnacoli dal lago, una lenta processione di parole che ci lascia coi peli rizzati e la voglia di abbracciare la figlia di L.B.che ci fa sentire tutti figli. Si cammina sulle pagine come in punta di piedi su un lago ghiacciato. Abbiamo paura di cadere e restare intrappolati. Cadiamo. Ma ci muoviamo. Nel paradigma dell’eterno divenire, ci puliamo dalla polvere.Un po’ Carveriana la Barone-ssa. Sempre di Cattedrali si tratta, davanti al dolore siamo tutti ciechi. Scrive senza smancerie: i paragrafi come intervalli sospesi nel vuoto, uno stile di dolce bruma sonora, che crea tepore. Spiega l’inspiegabile, lo fa emergere e ci lascia con l’inspiegabile. Come Kafka. Perché il tempo sfugge, i padri muoiono e noi ci abituiamo a vivere ovattati sotto l’acqua, ci inabissiamo. Conviviamo con le persone assenti. A meno che non siamo Marta. Che evoca un’assenza e la rende presente, risale dalla palude della sopravvivenza e corre. Sotto la pioggia, come L.B. Copertina 5 Storia 5 Stile 5
Niko F.
Può un uomo brillare come “fuoco violetto e luce misteriosa” dentro un romanzo che si eleva a mito e biografia? La storia di L.B., padre dell’autrice, accusato per banda armata, è simile a un viaggio a ritroso, una questione privata che punta alla verità inconoscibile. Negli anni Settanta L.B. diventa un militante comunista, abbracciando un regime di vita puro e “fedele a Mao”. È uno dei tasselli che compongono la Città sommersa di Marta Barone, scrittrice di libri per ragazzi, che in questo romanzo affina un potente mezzo per indagare il reale, orchestrandolo con maestria dentro citazioni, riflessioni, altri libri. Ma non siamo di fronte a un gioco puramente letterario, tutt’altro: ogni capitolo contiene una recherche umanissima che segue le orme del protagonista in strade e abitazioni, al fine di ricollocare l’esistente, fare ordine dentro una vita scomposta di un uomo inafferrabile. Un libro come mappa il cui tesoro, la città sommersa che si aspira a raggiungere, è proprio L.B.: di lui avremo testimonianze private, speculari a quelle pubbliche, storie con la minuscola che si mescolano alla Storia, fino alle pagine cupe del terrorismo. La grande letteratura è ciò che rimette i cardini alla memoria, come alla relazione padre-figlia, che ritrova un equilibrio e la giusta distanza in un romanzo che restituisce pagine autentiche di scoperta e stupore. Copertina: 4 Storia: 4 Stile: 5
Sabina sorriso
Sembra un altra epoca e infatti lo è quella in cui viene descritta la Torino di cinquanta anni fa. Sembra la vita di uno sconosciuto ed in parte lo è, anche se il legame che c'è tra la protagonista e il tanto ricercato uomo di cui ha trovato una memoria difensiva (poiché accusato di partecipazione a banda armata) e su cui vuole fare chiarezza è suo padre. L.B. il padre sommerso che tramite un puzzle fatto di aneddoti raccolti tra la gente, articoli di cronaca locale in una città sommersa illuminerà crepuscolarmente tanti interrogativi di una figlia che non ha mai conosciuto suo padre o meglio che non ha mai conosciuto una parte di vita di suo padre a cui è unita per vincoli di sangue tangibili per quanto invisibili e aspetti inconoscibili. "Talvolta la vita degli umani rivela un insospettato quanto mirabile estro contrappuntistico” e resta ineffabile. Il filo di ogni evento viene ripreso in un altro tempo che tornando indietro riprende il bandolo e lo intrama, perché conoscere ciò che ha fatto in vita suo padre per la protagonista, nonché scrittrice sembra prendere il sopravvento sopra a tutti i suoi pensieri, poiché fondamentale per conoscerlo veramente e per conoscere se stessa. Il modo di scrivere di questo romanzo è accurato e ricercato ci sono bagliori in questo libro prezioso, doloroso e curatissimo nella ricerca storica puntuale e rigorosa. E' costante la ricerca di catturare qualcosa di imprendibile tramite un'indagine in bianco e nero non solo di uomo, di un uomo politico, delle sue famiglie e delle sue appartenenze, ma di un padre dal carisma potentissimo di cui la figlia scrittrice cerca le sfumature dell'arcobaleno dell'anima. Copertina: 5 Storia: 5 Stile: 5
sam
La morte porta via le persone che si amano ma, a volte, come in questo caso, serve a riavvicinare. Una figlia ricostruisce l'inimmaginabile passato del padre, riscopre, il ragazzo, l'uomo, il sognatore. Impara a conoscerlo attraverso gli occhi degli altri e i dissapori che li avevano tenuti distanti in vita vengono annientati. Attraverso la storia di L.B. (Leonardo Barone), si riscopre la storia dell'Italia, gli ideali che hanno mosso una intera generazione, il sogno (purtroppo irrealizzabile) di costruire una società più equa, più giusta e le degenerazioni a cui ha portato il tentativo di rendere concreta questa utopia. Un ragazzo, questo L.B., intelligente, buono, carismatico che "aveva consegnato volentieri il suo libero arbitrio, senza pensarci due volte. [...] Ne aveva bisogno perchè voleva il bene" e che purtroppo scopre "[...] che il bene non si trovava più dove aveva creduto di trovarlo". Sperimenta il fallimento e ciononostante non smette di credere alla necessità di fare del bene e di aiutare gli altri, almeno nel proprio piccolo. Copertina: 3. Storia: 5. Stile: 4.
Una storia particolare, e una progettazione ancor più singolare: è questa la sensazione che lascia nel lettore Città sommersa (304 pagine, 18 euro), l’esordio di Marta Barone nella narrativa, uscito per Bompiani a gennaio 2020. L’idea che guida il romanzo e la sua struttura sono più che singolari, e si intrecciano insieme in una narrazione viva, parlante, che non lascia indifferenti.
Una biografia, un racconto, una ricostruzione, un memoir? Che cos’è Città sommersa? Tutto, e insieme una novità che emerge dall’intreccio di tante linee narrative. È la storia dello scavo che l’autrice, insieme personaggio del libro, inaugura scoprendo una memoria difensiva che riguarda la vita del padre, mancato da poco e con il quale aveva un legame distante, mai sondato. Questa è solo la scusa narrativa per iniziare, attraverso ritorni all’indietro nella storia della Torino delle lotte operaie e di Prima Linea: una scoperta che si fa viaggio cronachistico e svelamento di un personaggio – il padre – che si scopre al lettore, così come alla figlia-narratrice, per la prima volta.
Ecco perché è impossibile staccare i piani: la biografia è già un romanzo, o forse è la forma romanzo che attinge alla cronaca per diventare una storia letteraria. Al centro non ci sono solo i fatti, le lotte, gli episodi anche violenti, il lavoro certosino di ricerca, le interviste ai testimoni di un’epoca politica e sociale oscura. Al centro c’è un personaggio che diviene, e con lui diviene la figlia, giovane donna che conosce, si interroga, costruisce una visione attraverso la scrittura.
Città sommersa ha due inizi: lo svela l’autrice-protagonista, e se ne accorge anche il lettore. Il primo è l’inizio che vede la narratrice spostarsi dalla sua città, Torino, a Milano, in cerca di qualcosa di ancora non chiaro, un esplicito fucile di Cechov a segnalare che qualcosa accadrà; il secondo è la scoperta della memoria difensiva, primo passo di una lunga ricerca che si scandirà nel tempo.
Storie personali si costruiscono passo dopo passo, intrecciandosi in un’edita spirale con l’evoluzione della storia politica negli anni delle lotte operaie e del terrorismo. C’è la storia del padre, prima ragazzo, studente, poi giovane medico e operaio, marito e genitore, la sua partecipazione politica, gli episodi cardine del suo percorso, a tratti misterioso, a tratti disvelato. C’è poi la storia di formazione della giovane autrice che, sulle tracce del genitore, scava, interroga, riceve racconti che si trova a dover rielaborare, tra labili ricordi personali del padre e della vita infantile e documenti, carte, frammenti di memorie altrui: tessere private e pubbliche con cui ricostruire il profilo di un padre distante.
La città sommersa non è Milano, non è certo Torino, ben presente nella storia con le sue fabbriche, le rivolte dei quartieri operai, i fatti di sangue delle vie del centro e gli archivi tutt’ora esistenti dove poter fare ricerca su quegli anni bui. La città sommersa è il padre. La vera geografia è spostata sul piano metaforico: il romanzo è un’esplorazione tutta sentimentale, seppure punteggiata di dati storici, della geografia umana del padre. Marta Barone si immerge in una mappa di cui ancora non conosce i confini, ma di cui intuisce la forma, e inaugura così un percorso senza sapere dove arriverà, se arriverà.
Per farlo si affida alla scrittura, con cui in maniera inedita esplora del materiale autentico, autobiografico, sposandone il portato simbolico su un piano squisitamente letterario. Non è un romanzo storico, Città sommersa di Marta Barone, pur raccontando fatti documentati. È un romanzo di ricerca: è l’esplorazione della figura del padre, il costante relazionarne i frammenti al sé; è una narratrice che è parte stessa del romanzo, suo fondamentale personaggio in divenire, nella limpida coscienza di essere protagonista di uno scavo, un’immersione in cui è possibile calarsi grazie alla scrittura.
Recensione di Alessandra Chiappori
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