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Non si può dare 0/5? Ma, non lo so, forse sono io a essere insensibile, ignorante, tonto, ma davvero non riesco a capire cosa si possa trovare in simili ammassi di parole senza alcun senso, senza mordente, senza nulla. Solo retorica, retorica, retorica. Mi dà l’idea di una quantità di vocaboli mescolati a caso tutti assieme e spalmati sul foglio di carta solo per stupire (ma stupire chi, poi mi chiedo...), una cosa che chiunque potrebbe fare, non vorremo mica scherzare! Che significato ha questa roba, a cosa serve, quale piacere procura, quale dolore, quale riflessione, quale non so cosa? E da che sforzo può derivare, da che abilità? Quanta retorica, quanto vuoto, almeno per un imbecille come me. Un imbecille che se fa fatica a comprendere cosa sta dietro a cose del genere, ancora di più ne fa a comprendere come chi mi ha preceduto nel giudizio possa aver trovato tutti quei significati. Volete sapere una cosa? Di fronte a simili “nulla” con cui spesso la poesia confina io credo che chiunque possa vedere tutto e il contrario di tutto, niente e il contrario di niente, che la critica si riduca a un mero esercizio del tipo “di’ qualcosa tu, che poi dico qualcosa io”, che si tratti insomma di un enorme, banalissimo gioco dove fa tanto chic dire che il sole è ombra e l’ombra è sole, che io sono te e tu sei me, che le galline vanno sulla luna e gli astronauti becchettano per l’aia, perchè ognuno è libero di estrinsecare i propri pensieri in libertà (il che andrebbe bene) anche se è il primo che in questi pensieri magari proprio non ci crede (il che andrebbe un po’ meno bene). E se ci crede... io concludo che il mondo è bello perchè è vario! Chiedo scusa a chi ha occhi (e sentimenti, e moti emozionali) più acuti dei miei, ma io sono felice di essere, in questo caso, “orbo” (ma non così scemo e, credetemi, parecchio “veggente”)!
Il libro si chiude riaprendosi; anzi, ostentando la propria asimmetria (versi, poi prosa; io-tu-noi, poi il magma del mondo; selezione linguistica, poi abbandono al nuovo, dallo spot alla biometria; numeri, poi una serie non numerata). Ma cose e persone sono evidentemente dappertutto, e lo sono tanto da straziare chi vuole prenderne conoscenza o cercare un minimo rapporto, anche con la mediazione della poesia, che sceglie una cosa o una persona o un lemma e ne abbandona di necessità un altro («e d’altro canto i bambini dappertutto e le / donne dappertutto e i folli dappertutto e / le madri dappertutto e dappertutto le / parole la poesia e gli animali dappertutto / i vuoti dappertutto e i modi in cui / dappertutto preferendo questo quello / scompare»: p. 55). Due parole leggerissime chiudono il libro, implicandosi in una familiarità imbarazzante per tutti: voce e fame (p. 60). L’una e l’altra sono sciolte da qualsiasi rischio di astrazione: la fame è quella di «tuo figlio», la voce è quella con cui – insieme ad un’adeguata mimica – tu stesso devi spiegargli l’orrore del mondo. Per alcuni di noi, la voce è veramente lo specchio dell’anima.
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