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I compianti - Maria Pia Quintavalla - copertina
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Descrizione


Attraverso le stanze della casa paterna, di una strada di una piazza di una città, si svolge il rito del compianto sulla morte del padre. I fondali di scena sono testimoni, come nella pittura e nel teatro, delle voci impegnate a dialogare fino all'ultimo, di un padre e di una figlia, nell'intimità dei loro affetti, unica guida al viaggio; ma gli affetti hanno un corso sinuoso e ritorni, come i versi. Del montaggio delle voci sono garanti i luoghi, che si fanno coro. Come nel mito l'eroe deve discendere agli inferi per poi ascendere al paradiso, un "Gesù convinto di parole". In appendice compaiono scritti di lui, scampato alla morte nel campo di prigionia, Stalag XVII A, quando si fa strada il sentimento della speranza, nella riscrittura de "Il Rigoletto", dove rivive la sua voce di suggeritore di scena, e la "canzone del prigioniero, che incensurata si scolpiva nel cuore".
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Dettagli

2013
13 novembre 2013
106 p., Brossura
9788897648239

Valutazioni e recensioni

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alida airaghi
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Nella postfazione, Bianca Garavelli sottolinea un elemento aggiuntivo rispetto alla precedente ricerca letteraria dell'autrice: “una dolcezza riflessiva” determinata quasi certamente dall'argomento trattato in questi versi. Il libro infatti è interamente dedicato alla figura del padre della poetessa, Piero Quintavalla, “Caro padre/ dal cappello e cappotto infagottato, come un uomo dell'ultima guerra/ che fu soldato, maestro povero,/ poi deportato...”. Vita e morte di un uomo molto amato e raccontato nelle tappe fondamentali della sua esistenza, e poi dell'agonia e della morte, in un omaggio che mantiene lo stile classicheggiante di notissimi Compianti scultorei e pittorici del nostro Rinascimento. Le sette sezioni del volume, corredate da testimonianze scritte dal padre sulla sua esperienza di prigioniero in un lager austriaco e da numerose fotografie su luoghi e protagonisti descritti nei versi, prende le mosse dall'ambiente in cui Piero Quintavalla nacque e fu educato, per soffermarsi poi sul suo matrimonio, sui suoi studi e sulla guerra, alludendo con tenerezza anche a tratti più personali (“il naso lungo/ le mani belle, il fisico da sano contadino”; “il gesto delle mani nelle tasche”). L'autrice ricorda le naturali incomprensioni tra genitore e figlia, gli allontanamenti e le riconciliazioni; ma soprattutto si commuove nel ripercorrere la malattia e la morte del padre, narrata con devota partecipazione al suo sofferto e crudele calvario (Io l'ho tenuto in braccio,/ gorgogliava entro la testa il sangue”). All'asciutta disperazione provata durante una visita al cimitero-sepolcro (“Ma di carta il tuo avello, o padre/ nel cemento spalmato dai ragni,/ su fiorami tra la polvere e il vetro/ ti trovai,/ allineato dal fondo e da stagioni,/ sotto spessa carta già celato il nome,/ mi chinai e non vidi”) segue tuttavia una constatazione consolatoria: “Padre che non sei mai partito affatto”.

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