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Scrittori italiani e stranieri. Volume cartonato rigido di pagine 337, sovraccoperta figurata. Prima edizione. Opera in ottime condizioni. Spedizione in 24 ore dalla conferma dell'ordine..
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Pessimo. Presuntuoso e snob come troppa "letteratura" odierna italica!
Scritto benissimo, macro-fotografa la realta' del nostro paese senza fare sconti a nessuno eppure nel finale c'e' un salto narrativo che non si lega bene con tutta la narrazione precedente.
Non sempre di facile lettura, nel senso che non è scorrevolissimo, però è decisamente originale e nel linguaggio e nei contenuti, descrive benissimo la borghetizzazione della (ex) borghesia.
Recensioni
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L'uscita del precedente romanzo di Siti (Troppi paradisi, 2006) aveva indotto a credere che il ciclo inaugurato da Scuola di nudo (1994) e proseguito con Un dolore normale (1999) fosse concluso. Ma ora Il contagio spariglia le carte sul tavolo del critico, forza il perimetro della trilogia trasformandola (provvisoriamente?) in tetralogia. Del resto, l'autore ha costruito la sua autobiografia fittizia, o autofiction, predisponendo sempre degli "inganni" per non far tornare i conti, dei trompe l'oeil testuali per evitare che il personaggio Walter e l'autore Siti coincidessero perfettamente.
Certo, nel Contagio qualcosa è cambiato: il punto di vista, per esempio, appartiene meno al doppio dell'autore ("il professore", qui per lo più in terza persona), che al "coro" della borgata romana in cui il romanzo è ambientato. "Cinquant'anni dopo Ragazzi di vita": così la réclame sui quotidiani, pertinente ma parziale e un po' fuorviante. La prospettiva sociologica è infatti opposta a quella di Pasolini, vero antimodello di Siti: non sono le borgate ad avere assunto valori e atteggiamenti della classe media, "ma è la borghesia che si sta (se così si può dire) imborgatando". Di qui il titolo, che allude al contagio partito dai cosiddetti strati bassi della società, che tali più non sono. Per quanto corrotti e indolenti possa giudicarli l'intellettuale che li osserva, infatti, i borgatari non sono dei reietti, né semplicemente dei vinti. Alcuni hanno contatti con i vipche occupano le cronache mondane, figure di un demi-monde di scarsa sostanza, sì, ma pur sempre campioni illustri di una società. È evidente che Siti non cita qua e là i loro nomi solo per dare colore; lo scopo è avvertire che non c'è differenza tra gli uni e gli altri, tra i poveracci e i volti noti. (E basta guardare cinque minuti di un reality show per dargli ragione). Del fenomeno dà conto anche la lingua: né italiano standard né romanesco "filologico", ma una contaminazione capace di dare corpo ai personaggi meglio che il tratteggio di un carattere.
Qualcosa è cambiato, si diceva. Di uno sviluppo che segnasse anche una svolta tematica e stilisticasi intravedeva la necessità già nel finale di Troppi paradisi: "Le mie idiosincrasie si scontreranno con quelle degli altri in campo aperto; se avrò qualcosa da raccontare, non sarà su di me". In effetti, Walter parla di "sé" quasi esclusivamente nella terza e ultima parte (La verità), mentre nelle prime due (Il brusio, La deriva) il fuoco è sui borgatari di uno stabile nella fittizia via Vermeer, di cui il lettore può studiare all'inizio la piantina con i nomi degli inquilini vecchi e nuovi. Di quelli, cioè, che hanno vissuto lì prima e dopo la catastrofe, anch'essa fittizia, che agisce come snodo narrativo. Marcello, l'escort body builder già apparso nella Magnifica merce e in Troppi paradisi, è al centro della comunità, in cui risalta almeno un altro personaggio, Mauro, protagonista di una parabola esemplare: dalla borgata all'America, e ritorno.
Il Trottola, Cicci, Sergetto e gli altri abitanti di via Vermeer una Spoon River di Tor Bella Monaca sono legati l'uno all'altro da amicizia, amore, parentela, sesso, rapporti di forza, dalla condivisione di desideri e vizi. Ma Il contagio, come tutta l'opera di Siti,è ben altra cosa rispetto a una fiction debolmente legittimata dal recupero di tipi e situazioni mélo in chiave gay. Non manca neppure a Siti il registro patetico ("Dal balcone tirano le cicche sull'erba striminzita, dove tutte le sere Marcello si rotolava col cane"), ma fa parte della sua vena di paradossale moralista, nel senso classico osservatore di costumi e in fondo anche in quello corrente. Com'è un moralista perplesso il personaggio Walter, che giudica da dentro la deriva della borgata definendosi una "persona perbene".
In un'epoca in cui il realismo quotidiano, televisivo, rende un cattivo servizio alla realtà imponendole la messinscena di finti desideri e di finti appagamenti, non è solo il destino del realismo letterario a essere in ballo, ma l'ufficio stesso della letteratura: che piaccia o no, oltre a Siti non sono molti gli scrittori italiani che interpretano la fenomenologia contemporanea attraverso le riserve di significato che offrono lo stile e la costruzione di un romanzo. (A parte sta la scrittura-documento, il giornalismo a volte di alto contenuto civile, stile Gomorra: un'altra cosa che serve ad altro, comunque). Quello del Contagio, per usare una felice definizione, è ancora un "realismo d'emergenza", che fa attrito con la realtà per mezzo di piccole incongruenze, sporgenze simboliche, eventi inverosimili e inserti di brani eterogenei (racconti, lettere, analisi e giudizi d'autore), in minor numero e varietà in confronto a Scuola di nudo o a Troppi paradisi, ma sempre riconoscibili nel corpo della narrazione principale.
Dal racconto iniziale occorre appunto ripartire; come davanti a una "pittura d'inganno", si crede di essere al principio del romanzo. E invece no. È un racconto viene detto all'inizio del capitolo successivo già uscito su "Nuovi Argomenti". Poi si scopre che anche il terzo capitolo è un racconto, pubblicato sull'edizione romana di "Repubblica". Più che di due prologhi, si tratta letteralmente di due pretesti per dimostrare come la realtà sia l'effetto di un'immagine rifranta, senza un orientamento univoco, un compimento, una redenzione. Contigui e intrecciati al resto del romanzo, da un lato ne preparano certi sviluppi e situazioni, dall'altro ne falsificano gli esiti, normalizzandoli in base ai canoni del realismo di stampo verista. Il secondo racconto ha una conclusione degna di Jeli il pastore: "Giusy s'è presentata ar mercato con l'amante al braccio, e Saverio che doveva fa? nun ha potuto abbozzà più, cià visto rosso". Solo che Giusy lo si apprende una pagina dopo non è stata ammazzata dal marito, anzi non è morta affatto. Così, verso la fine, l'incidente e la morte non sono altro che la maschera romanzesca di un normale esaurimento dell'eros. Questa è "verità", che dà il titolo alla terza e ultima parte; ma delle verità, soprattutto di quelle proclamate nei finali, la letteratura moderna e contemporanea ci insegna a diffidare.
Qui infatti la verità sembra avere una funzione strategica: escludere e rinnegare la proiezione verso gli altri su cui si chiudeva Troppi paradisi. L'ultima pagina del Contagio è infatti da un lato ammissione di uno scacco formale, perché lo scrittore non trova di meglio che un elenco per descrivere quel repertorio umano di fronte al quale le "sociologie cadono a pezzi"; dall'altro, presentimento di morte ed esclusione per il professore che, senza Marcello, viene respinto dai nuovi borgatari (la banda di ragazzetti, il tredicenne rumeno): "ma vai a casa, va'
che ti sta cercando la morte e tu sei in giro".
Se, con Benjamin, "la morte è la sanzione di tutto ciò che il narratore può raccontare", il ciclo di Siti attende ancora una continuazione. Forse anche una nuova svolta, perché l'osservazione sociologica ha spinto l'autofiction fino al suo limite, e oltre; ma questa ha contemporaneamente bruciato la possibilità di fondare le ragioni di un nuovo romanzo sull'autorità di ciò che è fuori, sulla res extensa: "'Ho teorizzato che tutto il mondo stava diventando gay; ora teorizzo che il mondo sta diventando un'immensa borgata; non sarà perché' pensa il vecchio camminando verso via Vermeer 'mi è mancato il coraggio di ammettere che per me un borgataro gay era diventato tutto il mondo?'". Niccolò Scaffai
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