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Quello che colpisce di più nel rileggere questi saggi di Erich Auerbach è lo stile. Uno stile critico a cui non siamo più abituati, in cui insiste una straordinaria abilità narrativa capace di accompagnare il lettore in un simpatetico avvicinamento a pensatori e scrittori capitali della cultura francese, come Pascal, Rousseau, Racine, Proust. Quanto mai evidente è infatti la disposizione empatica di Auerbach, che sembra veicolare una sorta di "amicizia" critica per questi autori, quasi che il grande filologo tedesco volesse suggerirci una "terza via" all'analisi critica, non solo filologica, non solo sociologica, ma "partecipativa", "sodale" con le grandi figure del passato, forse anche perché, per Auerbach, la disposizione naturale e il carattere dell'autore sembrano avere un'importanza superiore alle spinte sociali nel creare, come ad esempio per il genio di Pascal, che ci appare come una singolare fusione di "logica, retorica e passione". Allo stesso modo in cui nei personaggi di Racine, e ribaltando le indicazioni di Karl Vossler, Auerbach vede soprattutto la profondità degli istinti, le passioni come sorgente dinamica dell'azione raciniana.
Dell'autore di Mimesis, stupisce anche, a distanza d'anni, l'attualità metodologica e la vitalità dell'immaginazione critica; pur prestando estrema attenzione ai problemi filologici, Auerbach non ci restituisce solo pagine di scrupolosa erudizione, ma utilizza questi materiali per allargare il quadro culturale di riferimento, illustrando una serie di aspetti di carattere sociologico che risuonano all'unisono con quelli formali, dove la storia delle idee si intreccia con la storia delle forme, dandosi senso a vicenda. È il caso del saggio che dà il titolo alla raccolta, dove nell'emergere della polarizzazione linguistica e semantica fra la cour e la ville Auerbach coglie perfettamente i segni del nuovo interesse per il "pubblico" nella Francia del Seicento (soprattutto nel teatro di Molière), che pongono in primo piano il nesso "tra creazione e ricezione", come spiega Mario Mancini nella sua attenta introduzione, perché Auerbach vuole interrogarsi "sull'incidenza dell'opera, sul suo legame con la realtà, sulla sua capacità di captare comportamenti e sensibilità, e anche di influenzarli e modificarli".
Influente in questa considerazione la koiné teorico-critica della scuola filologica e romanistica tedesca, da Jauss a Iser, che metterà il momento della ricezione dell'esperienza estetica al centro di qualsiasi considerazione critica e storiografica. L'opera d'arte vive nella sua efficacia all'interno di un dialogo continuo con la comunità dei lettori, contribuendo, in questo nesso, a realizzare il carattere di "evento" dell'opera d'arte. Ma il rapporto con il pubblico sancisce anche un'altro spostamento decisivo nell'avvento e nella costituzione della cosiddetta "modernità". Montaigne, scrittore con cui Auerbach apre il volume, comincia ad esempio a rivolgersi a una "comunità nuova", a crearsi un pubblico che prima di lui e degli Essais non esisteva, né il suo autore "poteva immaginare che esistesse": il "pubblico colto", la cui apparizione sancisce il passaggio di consegne, nella gestione dell'egemonia spirituale dell'Europa moderna, dall'apparato ecclesiale a quelli che, in maniera molto appropriata, sono stati definiti appunto i "chierici", gli intellettuali.
Altro motivo fondamentale della raccolta, che Mancini discute sempre nella sua persuasiva introduzione, è quello del rapporto fra cristianesimo e mondo occidentale, un rapporto ambivalente e paradossale, in quanto il cristianesimo diventa il motore primario della secolarizzazione surrettizia del mondo: era stata questa anche una delle tesi di Mimesis, e risponde al clima del dibattito che ha interessato la cultura tedesca del primo Novecento, da Max Weber a Karl Barth, da Rudolf Bultmann a Karl Löwith. Auerbach parte ancora da Montaigne, che scrive il "primo libro dell'autocoscienza laica", discutendo poi della progressiva vicinanza maturata nei confronti dei teorici della ragion di stato da Pascal, il quale creò "una teoria che, nonostante il carattere in apparenza esasperatamente cristiano, contiene molti elementi profani, anzi addirittura germi di critica social-rivoluzionaria".
Così, nel saggio Sulla posizione storica di Rousseau, l'autore del Contratto sociale deve essere interpretato, secondo Auerbach, non tanto psicologicamente, ma come "figura della storia spirituale del mondo", come paradigma della crisi generale della cristianità, come esempio di un non-cristiano assillato da preoccupazioni e domande religiose che non riesce a trovare una chiesa che lo possa accogliere. Sono in particolare il rapporto con Bultmann e le sue tesi sulla "demitizzazione" del mondo, spiega Mancini, che risuonano nel saggio su Rousseau, dove "la scristianizzazione è allo stesso tempo una sdrammatizzazione di quanto accade nel mondo, che diventa un puro e semplice decorso terreno", introducendo negli individui "un atteggiamento molto più sciolto, più naturale e libero da paure". Esito ulteriore di questa parabola è la "disgregazione materialistica" dell'Ottocento espressa da Paul-Louis Courier.
Questa raccolta di saggi di Auerbach sulla cultura francese viene riproposta da Carocci a distanza di ventisette anni dalla prima edizione italiana, uscita a Bari per Di Donato nel 1970 con il titolo Da Montaigne a Proust. Ricerche sulla storia della cultura francese, con testi che il grande filologo tedesco scrisse tra gli anni trenta e quaranta e che vennero pubblicati da Francke (stesso editore di Mimesis) nel 1951. In appendice al volume sono stati inclusi anche la prefazione all'edizione tedesca del 1951 nonché un interessante Epilegomena a Mimesis, pubblicato nel 1953.
Pierpaolo Antonello
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