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Mioddìo, ma la recensione di mr. Novaro proveniente da 'L'Indice' vi farebbe venir voglia di leggere questo libro, che è duro, sperimentale, straziante e caustico insieme? Forse no. Duro mestiere quello del critico, che vive di scrittura altrui. Meglio immergersi nelle pieghe (e nelle piaghe) vive del romanzo di Percival Everett, una delle voci letterarie più degne di essere ascoltate negli ultimi tempi. Solo per palati raffinati.
Recensioni
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Dopo Cancellazione (Instar, 2007; cfr. "L'Indice", 2007, n. 6) e Glifo (Nutrimenti, 2007; cfr. "L'Indice", 2007, n. 9) ecco il terzo libro (su una quindicina) di Percival Everett tradotto in Italia, di nuovo da Nutrimenti per la collana "Greenwich", una delle poche vere collane di progetto presenti sul mercato editoriale italiano, che ha assunto il lavoro e la figura dell'autore a manifesto programmatico della collana, radicandola in un ritorno a sperimentazioni linguistiche che da tempo erano assenti dalle nostre librerie.
In una logica recisamente postmoderna, La cura dell'acqua rende la trama, esile sino alla scomparsa, carsico collante fra materiali diversi, schiacciata sul suo ruolo di funzione coesiva. Ishmael Kidder, separato dalla moglie che ha un nuovo compagno, scrive sotto segretissimo pseudonimo romanzi rosa di grande successo; la loro figlia undicenne viene rapita, violentata e uccisa; Ishmael rapisce il principale sospettato e lo sottopone a tortura, fra le quali la cura dell'acqua, sistema che il suo paese, gli Stati Uniti, usa nei confronti di sospetti terroristi.
Sulla copertina dell'edizione italiana si riporta: "Mi vergogno quando il mio paese stupra il mondo", a orientare l'interpretazione primaria. Il testo è un ragionamento in forma non analitica sull'attuale deriva della politica estera americana. Oltre la metafora di base che vede l'io narrante in una sorta di mimesi ideologica fra il caso individuale (la propria esperienza) e quello pubblico (l'America che reagisce all'11 settembre), il funambolismo strutturale, lessicale, evocativo, che è consueto in Everett, qui è al servizio di un tentativo arduo ma che risulta efficace: essere America, e non descriverla. La quarta di copertina riporta una dichiarazione dell'autore: "Il libro rappresenta la mia reazione ai crimini di guerra commessi dal mio paese. (
) Ho dovuto ritagliare un posto dentro di me dove poter immaginare di trattare una persona in modo così crudele". L'editore dichiara che il libro "È stato scritto e illustrato (
) su vari quaderni ad anelli e fogli sparsi (
). L'autore non aveva intenzione di scrivere il libro in ordine cronologico per poi, letteralmente, mischiare le carte: (
) si presenta infatti nello stesso ordine in cui è stato composto", operando una sovrapposizione fra io narrante e autore. L'io narrante, infatti, in uno dei tanti filoni che percorrono il libro, ribadisce il fatto di stare scrivendo degli appunti, ragiona sulla frammentarietà e sui suoi valori di pratica e comunicativi.
L'uso di questa frammentarietà permette a Everett di agire le pulsioni profonde che gli paiono animare il suo paese: non solo il suo personaggio si comporta metaforicamente come America, ma pensa, e comunica come tale, riuscendo nel difficile intento di consegnarci una comunicazione autistica, interamente immersa nel suo paradosso, molto vicina all'ossessività autointerrogante dell'adolescenza. I fatti e la trama sono come svaniti, evaporati a favore di una continua assertività introflessa che può dire l'altro solo annientandolo, e che può annientarlo solo riducendolo a simbolo, privo di ogni soggettività. L'affastellato sovrapporsi di tutti i vari materiali che Everett/Kidder compone hanno come cifra comune la volontà di evitare ogni domanda che non sia fornita di risposta, in una scotomizzazione raggelante del dubbio. Il libro è noioso, irritante, violento, spesso ottuso, è puerile e autocentrato, così come Everett pensa che sia oggi l'America. Federico Novaro
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