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"Intendo sostenere la tesi che con l'antichità è nato qualcosa di totalmente nuovo nella storia del mondo, e che con essa non solo sono nati i presupposti di ciò che avrebbe poi costituito l'Europa, ma che è nata la stessa Europa". Con queste parole Christian Meier, illustre studioso del mondo classico che insegna a Monaco, suggella la propria presa di posizione circa le radici dell'Europa e il suo cammino nella storia dell'umanità. In una serie di contributi, già in gran parte presentati alle Krupp-Vorlesugen di Essen nel 2000-2001, egli mostra di vedere "in Atene l'inizio e in Auschwitz la definitiva conclusione del Sonderweg, di quella via speciale che l'Europa ha percorso nella storia universale", e che va compresa fino in fondo, se si vuole affrontare nel modo più adeguato la contemporaneità. A tali conclusioni Meier giunge prendendo in considerazione un vasto insieme di fattori politici, economici e sociali, e rifacendosi alle argomentazioni di alcuni grandi storici e uomini di cultura, come Jacob Burckhardt. Elemento rivelatosi nei secoli cruciale per la politica, il senso sociale e l'organizzazione culturale, l'"europeità" si plasmò ad Atene per poi svilupparsi ulteriormente non solo in seno alla grande ecumene greca, ma anche a Roma, dove sorse infine il moderno "Stato razionale". Successivamente, si verificò la grande rielaborazione cristiana del patrimonio classico, che ebbe il risultato di perpetuarne l'influenza presso la maggior parte dei popoli europei.
Per Meier nel vecchio continente si va tuttavia riscontrando un crescente disinteresse per la storia. Di più. Ai suoi occhi, "la categoria della storia non gioca più alcun ruolo", forse perché gli europei non riescono a percepire le proprie radici comuni, malgrado il formale costituirsi dell'Unione. Certo, si verificano eventi anche di grande spicco, come la scoperta della struttura genetica dell'uomo e la possibilità di modificarla, nel contesto d'una generale accelerazione dei processi storici. Eppure, lo studio e la coscienza stessa della storia brillano per la propria assenza, e quel lascito millenario, la cui fragilità Auschwitz ebbe a dimostrare, nel futuro prossimo rischia di andare nuovamente perduto, non si sa con quali conseguenze.
Di fronte a un fatto di così drammatica portata, che può seriamente pregiudicare l'avvenire europeo, Meier propone una nuova strategia, centrata sul recupero della "narrazione storica", cioè su di un'attenzione rivolta ai processi, più che alle nozioni o agli eventi, al fine di riscoprire e riaffermare secondo quali vie l'Europa che oggi conosciamo abbia potuto prendere forma. Tale approccio, trasformando la storiografia in "responsabilità" per gli studiosi, potrebbe riverberarsi positivamente sulla cittadinanza, agevolando la rinascita del civismo. Quel che più conta, fra gli europei - i quali per Meier hanno la tendenza a sentirsi dei "sopravvissuti", anche a causa della cesura irrimediabile indotta dalla seconda guerra mondiale e da Auschwitz - si svilupperebbe finalmente una vera e propria "autocoscienza" comune. La faccenda è certo di difficile soluzione. Ma non va persa la speranza. L'intero saggio di Meier non ruota forse intorno a una peculiare caratteristica dell'Occidente, e cioè alla capacità di evolversi per superare situazioni di crisi?
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