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Il trattato cinquecentesco che qui si ristampa è attribuito con molta probabilità a Bartolomé de Las Casas, famoso per aver denunciato lo sfruttamento e lo sterminio degli indios americani da parte dei conquistadores, difendendo i diritti dei nativi contro l'ostilità dei coloni. Il "coraggio morale" del domenicano spagnolo forma una clamorosa eccezione nel "dibattito teologico e giuridico sulla legittimità della conquista e colonizzazione dei nuovi territori d'oltreoceano": egli si oppose infatti pubblicamente alla tesi della schiavitù naturale degli indigeni, sperimentò forme di colonizzazione non violenta e scrisse un impressionante numero di opere sulla questione (come la Brevìsima relación de la destrucción de las Indias). Il suo "multiculturalismo pacifista", sottolineano i curatori del volume, ha una "straordinaria attualità teorica e politica" e permette al lettore di oggi un apprezzamento non esclusivamente erudito di queste pagine, che pur si presentano come argomentazione rigorosamente scolastica, fondata sull'approfondita conoscenza del diritto civile e canonico. I temi giuridici (la libertà originaria, il consenso del popolo, la giurisdizione garante della legge) sono piegati, infatti, a una polemica esigenza dimostrativa: quella che nega legittimità alla concessione perpetua ai coloni da parte del potere imperiale dei diritti di sfruttamento dei territori e degli indigeni nel Nuovo mondo. Rifiutare una simile alienazione della sovranità regia, per Las Casas, significava difendere gli interessi dello stato spagnolo contro le tentazioni autonomistiche, ma soprattutto i diritti dei nativi (al consensus dei quali egli riservava un ruolo essenziale). La sua battaglia oggi lo sappiamo era perduta in partenza, ma la sua voce conserva un'eco drammatica di modernità.
Rinaldo Rinaldi
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