Màrius Torres i Perenya (Lérida 1910 - Sant Quirze Safaja 1942) era il primogenito di una famiglia dell'alta borghesia catalana e catalanista, repubblicana ed eterodossa, alcuni esponenti della quale impegnati direttamente nell'attività politica, a livello sia nazionale che locale. Compiuti a Lérida gli studi superiori, si trasferisce a Barcellona, dove nel 1933 si laurea in medicina. Dopo alcuni viaggi in Italia e in Francia, si specializza a Madrid, e torna poi a Lérida dove esercita la professione. Nel 1935, colto da tubercolosi, viene ricoverato in un sanatorio sui Pirenei, e qui vivrà i pochi anni che lo separano dalla fine, amareggiato e irritato dall'"odiosa inutilità" alla quale lo condannava la malattia, in anni drammatici che lo tenevano lontano dalla sua famiglia, esiliatasi in Francia, e in pratica anche dal suo paese, con il quale solo sporadiche visite dello scrittore Joan Sales e il rapporto epistolare con Carles Riba lo tenevano in contatto. Autore di racconti e di articoli politici, traduttore di autori francesi, inglesi e portoghesi, ma anche di trovatori provenzali, Torres è però soprattutto un poeta, di ispirazione baudelairiana e simbolista da un lato, medievalista dall'altro. Màrius Torres, chi era costui? Sarebbe una richiesta più che giustificata da parte di un lettore italiano, al quale non era stato finora consentito di acquisire nel proprio canone poetico, e sempre che ne avesse avuto a suo tempo la possibilità se non quattro poesie divulgate tra noi mezzo secolo fa in un'antologia da ascrivere alla preistoria dell'offerta in Italia di poesia catalana moderna. Dire dunque che l'antologia curata da Donatella Siviero colma un vuoto di dimensioni notevoli, più che banale e scontato potrebbe apparire autolesivo, soprattutto della nostra capacità di guardare con attenzione oltre i limiti di un provincialismo incapace di svincolarsi dalle imposizioni dei mediatori pubblicitari. È ben vero che anche nel canone poetico catalano l'ingresso di Torres è stato ritardato da circostanze extraletterarie sulle quali si sofferma, con elegante levità, l'introduzione di Siviero, ma dalla scoperta autoctona del rilievo che gli spetta risalente a molti anni fa nessun tentativo era stato compiuto, prima di questo libro, per offrire al nostro orizzonte di aspettativa un autentico protagonista, un "virtuoso cultore" della poesia del Novecento. In tale prospettiva, dunque, è questo un libro che non ha bisogno di aggettivi, ma che esige una lettura non episodica, la sola atta a mettere in risalto l'originalità del poeta, la natura "singolare ed eccentrica" della sua opera ("una voce fuori dal coro"), la capacità di costruirsi un universo lirico ai margini non solo del suo paese, ma della stessa società alla quale sente di appartenere, persino degli affetti familiari: un universo improntato a musicalità e armonia, la cui creazione e progressiva elaborazione affondano le radici in una serie di letture di poeti medievali e moderni, catalani e occitani, francesi e inglesi, ma che è anche di necessità autoreferenziale a causa dell'isolamento terapeutico, e non solo, al quale il poeta è costretto da circostanze drammatiche. Delle traduzioni di Oriana Scarpati è infine doveroso segnalare la cura e la sensibilità con cui il catalano è stato riversato in un italiano di grande efficacia espressiva, comparabile a quella dell'originale. Giuseppe Tavani
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