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Reporter francese, appartenente ad una famiglia armena scappata dalla Turchia ?in Francia per fuggire ?il genocidio del suo po?polo, Pascal Manoukian ?si cimenta per la prima? volta nel romanzo (…). Le vicende narrate in Derive sono ambientate nel 1992 e raccontano i destini incrociati di tre diversi personaggi, tre migranti provenienti da parti remote del mondo (…). Virgil, muratore moldavo deluso come molti dal post-comunismo e dalle promesse non realizzate dopo la caduta del Muro, si lascia alle spalle moglie e figli con il sogno di ricongiungersi a loro non appena avrà fatto fortuna in Francia. Qui incontra il somalo Assan, fuggito in seguito allo scoppio della guerra civile nel suo paese portando con sé Iman, unica figlia superstite e il bangladese Chanchal, messo in fuga dalle catastrofi naturali e dalla povertà endemica che affliggono il sudest asiatico (…). La scelta dell’anno non è ovviamente casuale. Sebbene l’opinione pubblica ritenga le migrazioni contemporanee un fenomeno recente, questi flussi non sono affatto un’emergenza degli ultimi anni, ma il frutto di una lunga gestazione, che ha avuto proprio intorno al 1992 un incremento esponenziale e incontrovertibile (…). Dopo viaggi rocamboleschi, i tre fuggiaschi si ritrovano a Villeneuve-le-roi, nella banlieue parigina, e cercano di solidarizzare tra loro per resistere ad un’esistenza fatta di privazioni e sotterfugi, scoprendo presto come la clandestinità porti inevitabilmente con sé una pesante dose di rischio e atrocità. Nei grigi parcheggi dove i migranti vengono reclutati come manovalanza in nero, si ridelineano in astratto i confini universali della geopolitica: gli afghani lontani dai curdi, i bosniaci fuori dalla portata dei serbi, i turchi distanti dagli arabi, i moldavi separati dai romeni. Ogni giorno è una lotta di sopravvivenza e ogni gruppo ha un suo compito indispensabile anche agli altri. Serbi e ucraini fabbricano documenti falsi, i romeni trafficano in alcol e sigarette, i turchi si dividono con i moldavi il commercio delle ragazze, (…) in un universo parallelo quasi solo maschile che perde gradualmente e tragicamente anche la sua umanità. (…)
Anche la scelta di Manoukian di scrivere un romanzo e non un reportage si rivela azzeccata, poiché nella letteratura c’è qualcosa di intimo che crea una sorta di complicità con il lettore, facendoci in questo caso realizzare quanto poco senso abbia la distinzione operata dalle regole internazionali dell’accoglienza tra rifugiati politici e “semplici” migranti economici, che non tiene conto del fatto che lasciare paesi in assoluta povertà non può che portare a nuovi conflitti, e di quanto bisognerebbe piuttosto affrettarsi ad agire sulle vere cause di queste migrazioni.
Recensione di Francesca Giommi
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