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Nell’aprile del 1983 il settimanale tedesco Stern dichiarò di fronte a un pubblico costituito da circa 200 giornalisti e ventisette troupe televisive che era entrato in possesso dei diari segreti di Adolf Hitler, una notizia sensazionale che purtroppo finì con il rivelarsi il frutto di una colossale truffa, nonostante che fossero stati dati per autentici da tre storici famosi. Fu invece la polizia tedesca a rivelare quanto fossero fasulli, grazie a un’analisi forense attenta e rigorosa che appurò che erano scritti su carta che conteneva poliestere, polimero utilizzato solo dopo il 1953. Il bello è che il contenuto dei diari (60 quadernetti) non portava nulla di nuovo, visto che erano stati scritti copiando testi dei discorsi tenuti dal Fuhrer, e quindi già noti, con l’aggiunta solo di qualche osservazione personale del falsario, tale Konrad Kujau, dalla fedina penale non proprio immacolata. Quindi, qualora fossero stati autentici, non avrebbero avuto un interesse storico, soprattutto non sarebbero riusciti a giustificare la somma di 10 milioni marchi sborsati da Stern per entrarne in possesso. Come è possibile comprendere il fatto è tanto più eclatante ove si consideri che il reo e la vittima sono tedeschi, gente di teutonica fierezza che è incline a considerare gli abitanti di altri paesi, soprattutto del sud, dei volgari truffatori, gente che magari tenta di vendere il Colosseo a qualche sprovveduto, ma qui se c’era uno sprovveduto è stato chi in Stern autorizzò l’esborso. Il libro ripercorre tutta la vicenda, partendo tuttavia da accadimenti ben anteriori, soprattutto per ben definire i personaggi coinvolti; purtroppo, nel far questo, si dilunga un po’ oltre misura, raccontando anche episodi di scarsa utilità e così costringe il lettore a cercare di accelerare i tempi per poter finalmente arrivare alla narrazione della truffa vera e propria, narrazione che è veramente interessante e particolarmente avvincente e che salva l’intera opera.
La storia narrata non è che sia entusiasmante (si appassioneranno di più i tedeschi per via della nazionalità di Hitler e gli inglesi che sono stati ingannati dall'autore del falso scoop) ma il modo di esporla di Harris è accattivante.
Quello che ci consegna Harris non è un romanzo, ma una cronaca vera e propria. Il modo con cui intreccia i vari avvenimenti è magistrale. La prima parte del libro è un po’ noiosa perché troppo dettagliata su accadimenti di secondo piano. Ma, a mano a mano che si arriva al giorno della pubblicazione la pesantezza delle pagine scompare costringendo il lettore ad arrivare fino in fondo. Oltre che per cultura di fatti storici è consigliata la lettura per scoprire il mondo economico-polito della grande editoria e le sfaccettature dei comportamenti di storici e giornalisti. Curiosa, a mio avviso, la descrizione di Rupert Murdoch, il più famoso tra i personaggi contemporanei citati; uomo d’affari insaziabile, spietato e impaziente, ma anche dotato di sarcasmo. Da citare una sua battuta: dopo lo scandalo dei falsi, Frank Giles, direttore del “Sunday Times”, fu al centro di una campagna denigratoria, e Murdoch lo convinse ad annunciare le dimissioni, conferendogli il titolo onorifico di “editor emeritus”. Quando Giles chiese il significato di quel titolo, Murdoch rispose così: “Emeritus è latino, Frank. “e” significa che sei fuori e “meritus” significa che te lo meriti.”!!!
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