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Rock elegante e melodico, ricercato e mai banale quello dei Live, che con questo loro quarto album tornano a toccare le vette già raggiunte con il geniale e musicalmente anticonformista debutto di Mental Jewelery. In particolare la opening track - e primo singolo tratto da The distance to here - intitolata The dolphin's cry è una gemma rara nel panorama musicale mondiale, un pezzo che non invecchia mai, che miscela perfettamente i ritmi vocali e strumentali in modo da creare l'effetto ondeggiante dell'oceano, sotto la cui superficie si espande schioccando il richiamo dei delfini. Un album raffinato, dicevo, che riassesta la mira del gruppo dopo l'escursione grunge di Throwing copper, multi platino necessario ai Live per affermarsi in patria - e non solo - come protagonisti del gotha del rock alternativo. Il quartetto della Pennsylvania torna infatti ad alternare strumenti desueti, come il clavicembalo di The distance, ai classici due chitarre/basso/batteria di Sparkle. Anima del gruppo è - come spesso succede - il cantante, Edward Kovalczyk, ugola d'oro in grado di usare la voce come un aerografo, di sfumarne i toni dall'acuto più brillante e luminoso al basso più roco e cupo mantenendo una pulizia ed una naturalezza del cantato davvero rara: basta ascoltare i 4 minuti e mezzo di Run to the water per restarne affascinati. Tredici pezzi per quasi un'ora di splendida musica, The distance to here continua a rapire l'ascoltatore, a trasportarlo lontano dal caos del mondo emerso, immergendolo in una tiepida culla d'acqua; e lo fa incantando con melodie oniriche come in Where fishes go o nella dolce ninna nanna di Face and ghost (the children's song), sciogliendo le briglie della fantasia come nella cavalcata di Melt down, incatenando il cuore scalpitante come nell'inno d'amore di They stood up for love. Universo parallelo. Perfetta colonna sonora per l'eventuale film ispirato al bestseller di Frank Schätzing, Il quinto giorno.
Rock elegante e melodico, ricercato e mai banale quello dei Live, che con questo loro quarto album tornano a toccare le vette già raggiunte con il geniale e musicalmente anticonformista debutto di Mental Jewelery. In particolare la opening track - e primo singolo tratto da The distance to here - intitolata The dolphin's cry è una gemma rara nel panorama musicale mondiale, un pezzo che non invecchia mai, che miscela perfettamente i ritmi vocali e strumentali in modo da creare l'effetto ondeggiante dell'oceano, sotto la cui superficie si espande schioccando il richiamo dei delfini. Un album raffinato, dicevo, che riassesta la mira del gruppo dopo l'escursione grunge di Throwing copper, multi platino necessario ai Live per affermarsi in patria - e non solo - come protagonisti del gotha del rock alternativo. Il quartetto della Pennsylvania torna infatti ad alternare strumenti desueti, come il clavicembalo di The distance, ai classici due chitarre/basso/batteria di Sparkle. Anima del gruppo è - come spesso succede - il cantante, Edward Kovalczyk, ugola d'oro in grado di usare la voce come un aerografo, di sfumarne i toni dall'acuto più brillante e luminoso al basso più roco e cupo mantenendo una pulizia ed una naturalezza del cantato davvero rara: basta ascoltare i 4 minuti e mezzo di Run to the water per restarne affascinati. Tredici pezzi per quasi un'ora di splendida musica, The distance to here continua a rapire l'ascoltatore, a trasportarlo lontano dal caos del mondo emerso, immergendolo in una tiepida culla d'acqua; e lo fa incantando con melodie oniriche come in Where fishes go o nella dolce ninna nanna di Face and ghost (the children's song), sciogliendo le briglie della fantasia come nella cavalcata di Melt down, incatenando il cuore scalpitante come nell'inno d'amore di They stood up for love. Perfetta colonna sonora per l'eventuale film ispirato al bestseller di Frank Schätzing, Il quinto giorno. Universo parallelo.
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