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Anno edizione: 2016
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Non è facile valutare obiettivamente questo romanzo, se per romanzo intendiamo un insieme di fattori narrativi, estetici e strutturali che formano una sinfonia letteraria compiuta. Codesto Dante Virgili si pone in aperta discontinuità ma forse senza neanche rendersene conto. Non è un genio né un grande narratore, né - tantomeno - un grande scrittore, né - tantissimomeno - una grande persona, ma sorattutto un represso (molto più sessuale che politico) che possiede il minimo sindacale di capacità di scrittura per mettere su pagina il suo odio per l'universo tutto. Non va oltre l'asciuttezza sincopata, prettamente cronistica, ma merita d'esser conosciuto e letto essenzialmente per due motivi: il primo, l'assoluta sua sincerità con cui espone ogni suo più viscido e viscerale impulso, veramente sputatoci in faccia come ennesima dimostrazione di disprezzo anche verso chi legge. Secondo, è tutto così cupo e degradante, sia pure in modo nichilistico, da riuscire a essere anche divertente e intrattenere sulla pagina (e aggiungo che alcune parti sono davvero angosciose) a patto che di questo pover uomo ci importi di qualcosa, perché sennò... diventa dura. Per concludere, un'opera che merita la riscoperta anche se resterà sempre di nicchia, al di là delle intenzioni ambiziose dell'autore
Un delirio. Ai limiti. Ma mi permetto di dire che forse non è letteratura, ma sfogo terapeutico.
Questo libro assomiglia più ad uno sfogo di una malcelata frustraziione che ad un'opera di letteratura. Mi sembra un caso montato ad arte. Se volete leggete Celine, almeno è qualcosa di serio.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Abbandonato, morto in solitudine, dimenticato, disconosciuto da tutti, condannato all’oblio. In pochi hanno scritto di lui e nessuno è stato clemente nei suoi confronti. Oggi, il nome di Dante Virgili non dice niente. È un fantasma per molti, un demone che non va rievocato per quei pochi che quarantasei anni fa hanno letto il suo esordio letterario.
La distruzione viene pubblicato nel 1970. Alla Mondadori sono entusiasti per questo libro che unisce Céline e De Sade. Per molti si tratta di un testo rivoluzionario, di un’opera che può fare la differenza in un ambiente letterario di radical-chic e servi del potere mascherati da agguerriti critici del capitalismo e del conservatorismo italiota.
Caspita – direte voi – tutto questo ben di Dio in una sola opera!
Sì! La distruzione è tutto questo, ma c’è un aspetto particolare che non può passare in secondo piano: Virgili è un nazista. Questo libro gronda nostalgia per il Terzo Reich, per le SS e per Hitler. Sputa odio e disprezzo, giura vendetta ai nemici della Croce uncinata, profetizza la caduta delle Torri Gemelle e si augura che l’intera umanità sparisca, insieme al pianeta, dall’Universo.
Sono sicuro che adesso la pensate diversamente anche voi e avete capito perché nessuno parla di questo autore.
Premetto che anch’io sono stato tentato di chiudere questo libro quando ho avvertito odore di apologia al nazismo, quando ho cercato di interpretare alcuni passaggi scritti senza punteggiatura e con uno stile fin troppo asciutto. Eppure, l’ho letto fino in fondo con grande curiosità, perché il mio ruolo è recensire e non censurare. La scelta rimane a voi lettori, a me il compito di spiegare perché, nel 2016, Il Saggiatore ha deciso di ripubblicare questo libro e cosa lo rende degno della vostra attenzione.
Non è un caso che la casa editrice abbia affidato la prefazione a Roberto Saviano, che di sicuro non è un simpatizzante del nazismo. Mentre ha letto questo libro, anche lui ha avuto le mie stesse perplessità, i miei stessi moti di repulsione, ma come me si è reso conto che in questo libro si parla di odio vero; quello che viene fuori quando la vita è giunta alla fine di un vicolo cieco; quello che scaturisce dalla caduta di ogni certezza; quello che ti ammazza dentro lentamente; quello che solo alcuni scrittori francesi hanno saputo raccontare, tra questi Céline; quello che tutti noi sfoderiamo quando la nostra sensibilità viene tradita.
Ed ecco allora la storia di un piccolo borghese, correttore di bozze per un giornale, ex interprete delle SS. Le vicende di quest’uomo corroso dall’odio e dalla nostalgia si svolgono nel 1956. In Europa spirano ancora venti di guerra, la crisi di Suez rischia di riportare gli eserciti nazionali sul campo di battaglia; su di loro gli occhi degli yankee e dei russi, pronti ad entrare in azione.
In mezzo a tutto ciò sta il nostro protagonista che, con quel poco che guadagna, compra i favori sessuali delle cameriere e delle prostitute. Ama torturarle, ma a modo suo le adora. Le odia perché è brutto e sgraziato e sa che mai starebbero con lui spontaneamente, perciò gode nel corromperle. Ha capito che nella società capitalistica il denaro è sinonimo di potere. Ecco la nuova tirannia imposta dai soldi, sorta nel mezzo di un regime democratico che vorrebbe rendere tutti uguali… un bel paradosso, insomma.
Di qui la sua nostalgia per il Terzo Reich, in cui i valori erano diversi, gli uomini e le donne erano altro, il mondo intero era un posto migliore. Insomma, il nostro protagonista è un romantico nazista che aspira al suicidio, ma vorrebbe portare via con sé tutta l’umanità, perché in fondo la ama, sempre a modo suo.
Concludendo, La distruzione non è un capolavoro, non è un libro che tutti possono leggere, ma non merita l’oblio e la denigrazione. La letteratura non è un fatto ideologico e chi spesso adopera il pregiudizio non è né un buon lettore, né un buon divulgatore. Questa è un’opera come tutte le altre, patrimonio dell’Italia di quegli anni. Un libro controcorrente, raccapricciante in alcuni tratti, ma sincero e vero, non appartenente a nessuna scuola di pensiero, impossibile da catalogare.
Non farà di voi dei nazisti, non vi istigherà all’antisemitismo e non vi trasformerà in sadici. Tutt’al più vi domanderete perché, ancora oggi, la distruzione è la migliore amica dell’uomo.
Recensione di Martino Ciano
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