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recensione di Baricco, A., L'Indice 1986, n. 6
Sarà anche un caso, ma tradotto in sigla il "Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti" fa DEUMM: niente potrebbe rispecchiarne in modo più lapidario le ambizioni e l'autorevolezza. La sua pubblicazione, intrapresa dalla UTET nel 1983 sotto la direzione di Alberto Basso, rappresenta per il pubblico italiano (addetti ai lavori e no) un'acquisizione di enorme importanza, un vero giro di vite nell'ambito del patrimonio enciclopedico di argomento musicale in lingua italiana. Prima del DEUMM, per trovare opere di analogo respiro bisognava rivolgersi a quei due monumenti che sono il "Die Musik in Geschichte und Gegenwart" e il "New Grove Dictionary of Music and Musician*. Pachidermico, un po' invecchiato e inesorabilmente in tedesco il primo, più moderno; funzionale e completo il secondo. Quanto al panorama italiano, i due punti di riferimento più significativi erano "La Musica", enciclopedia UTET edita nel '68, oggi in larga parte confluita nel DEUMM, e l'"Enciclopedia della Musica" edita da Ricordi nel 1963 e poi ristampata in formato famiglia, nel 1972, con il concorso della Rizzoli: due opere dignitosissime, legate però a precisi limiti quantitativi. Rispetto ad esse il DEUMM, con i suoi 12 volumi per un totale di oltre 25 mila voci, assume i contorni di un'affascinante e grandiosa evasione dai confini consueti dell'erudizione. Difficile, e proibito, sottrarvisi.
Com'è noto, il DEUMM è costruito in due sezioni: una dedicata al lessico, già integralmente in distribuzione (quattro volumi, più di 5 mila voci) e una consacrata ai personaggi (otto volumi, 20 mila voci). Di quest'ultima si recensiscono qui i primi due volumi, quelli che coprono l'alfabetico cammino che porta da Els Aarne, compositrice, insegnante e pianista nata in Ucraina nei giorni in cui mezza Russia faceva la rivoluzione, a Arthur H. Fox Strangways, studioso inglese che negli stessi giorni, più modestamente, si occupava di fare il critico musicale del "Times". Quasi 1.600 pagine tra le quali è interessante cercare i segreti del DEUMM e i suoi meccanismi nascosti: magari incominciando proprio dall'inizio, là dove ci si aspetta di trovare, e si trova, la lista dei collaboratori, specie di carta d'identità di qualsiasi enciclopedia.
A leggere quella del DEUMM emerge, immediato, un dato significativo: il 75% circa dei collaboratori è di nazionalità italiana (massiccia la partecipazione degli studiosi torinesi: all'appello non manca praticamente nessuno). E un dato che registra una curiosa inversione di tendenza rispetto al modello "New Grove", che proprio nell'internazionalismo dei suoi collaboratori fonda gran parte della sua ineguagliata efficacia. Difficile giudicare una scelta del genere: certo è che, oltre a un'inevitabile flessione del livello dei collaboratori, l'impostazione italianistica del DEUMM rischia di sfumare l'incisività degli interventi su realtà culturali lontane e non facilmente decifrabili a distanza. Un prezzo che i curatori sembrano esser stati disposti a pagare pur di assicurare all'opera quella compattezza e coerenza interna che solo una cerchia relativamente ristretta e controllabile di collaboratori può garantire: e infatti il DEUMM è costruito con una regolarità priva di sbavature, quasi come scritto da una penna sola: là dove il "New Grove", mosaico di esperienze e metodologie diversissime, sconta inevitabilmente squilibrii e incoerenze non irrilevanti.
Un'altra constatazione emerge dalla lettura dei nomi che hanno lavorato al DEUMM: ed è quasi un'annotazione di costume. Sono tutti nomi di musicologi. A rendere la cosa meno ovvia di quanto possa parere a prima vista, contribuisce il raffronto con i progetti enciclopedici della generazione precedente al DEUMM, quelli concepiti negli anni '50-'60. Lì era facile trovare, fra i collaboratori, nomi come quelli di Malipiero, Hindemith, Ponlenc, Pizzetti, Ghedini e firme di interpreti quali Gavazzeni, Gui, Tito Gobbi, Boris Christoff, Lauri Volpi. Nell'enciclopedia Ricordi non manca il cortese contributo di Giulietta Simionato. Altri tempi. Oggi, come attesta il DEUMM il rigore della professionalità e della specializzazione sembra aver preso il sopravvento sulla lusinga del nome famoso. La musicologia ai musicologi: prima o poi doveva succedere.
Il lemmario: spina dorsale di qualsiasi progetto enciclopedico, curioso rastrello che decide cosa consegnare alla storia e cosa dimenticare per sempre. Quello del DEUMM risulta di altissimo livello: se è lecito dai primi due volumi delle biografie tentare una proiezione statistica, si dovrebbe aver raggiunto un numero di voci di poco inferiore a quello sfoggiato dal "New Grove": che vuol dire quasi il doppio delle voci dell'"Enciclopedia Ricordi" e un buon 20% in più rispetto alla precedente enciclopedia musicale UTET. Abbondano naturalmente i musicisti, ma non mancano teorici della musica, interpreti, scrittori, ballerini e coreografi, editori, scenografi e registi, Inventori e costruttori di strumenti, filosofi, ecc. Curioso è andare a individuare le scelte redazionali a proposito della musica leggera, tormento di qualsiasi enciclopedia musicale, sempre in imbarazzo nel decidere se Gianni Morandi vada consegnato alla storia o no. Sotto il profilo della quantità il DEUMM sembra aver opportunamente scelto una via di mezzo tra l'austera impostazione del "New Grove" (che salva i Beatles, i Rolling Stones e poco altro) e l'allegra generosità, poniamo dell'ultima Garzantina (1983) che si porta dietro anche i B-52'S, Sergio Endrigo e uno sproposito di jazzisti. Quanto alla scelta dei nomi sembra prevalere la giusta tendenza a stralciare le mode passeggere, anche di un certo rilievo, e premiare chi nella storia della musica leggera ha lasciato effettivamente un segno. Per cui sì a Joan Baez e no ai Bee Gees. Criterio che, occorre rilevarlo, viene applicato con una certa manica larga quando si tratta di musica italiana.
In margine, e a riprova del rigore con cui il lemmario è stato redatto, annoto due assenze: manca Carlo Maria Badini, quasi a sottolineare il rifiuto del DEUMM a trasformarsi, come spesso succede, in un ossequioso Gotha del mondo musicale. E manca Gabriele Baldini, musicofilo di genio che tanti amerebbero ritrovare tra queste pagine se non altro in riconoscenza di quel bellissimo ritratto verdiano che è "Abitare la battaglia": e che pure l'inflessibile setaccio del DEUMM consegna all'oblio, con la severità, non censurabile a priori, che l'Accademia riserva agli "irregolari" del sapere.
Quanto all'architettura (chiamiamola così) del DEUMM, è indispensabile il confronto con la precedente enciclopedia musicale della UTET, quella pubblicata, sempre a cura di Alberto Basso, negli anni '60. È da lì che il DEUMM attinge le proprie fondamenta: e cioè gran parte delle note strettamente biografiche e la maggioranza delle voci più importanti (da Clementi in su, fino a Beethoven, per intenderci). Il travaso da un'opera all'altra è per lo più testuale, ma mai automatico: si nota un puntuale lavoro di revisione, di aggiornamento e di limatura. Significativo è registrare, nel passaggio, la sparizione di alcune voci minori: segno che il DEUMM non ha voluto essere solo un radicale ampliamento, ma in qualche modo anche un ripensamento critico della precedente esperienza. Ad essa, come detto, risale per lo più la redazione delle voci legate ai grandi nomi. La scelta dei sostituti rispetta per lo più un'assodata geografia di competenze: Bellini a Lippmann, Berg a Petazzi, Cajkovskij a David Brown e così via. Fra le vecchie voci, non sempre passate indenni al trascorrere degli anni, si registrano in questi due primi volumi, i lavori di Mila su Bart¢k e De Falla, il Berlioz di D'Amico, il Beetheven di Willi Hess, lo Chopin di Gastone Belotti, il Bach di Alfred Dürr.
La vera forza del DEUMM si palesa nel lavoro, accurato e altamente professionale, con cui si è corredato l'apparato biografico di note critiche capaci di sottrarre centinaia di personaggi all'anonimato di una sequela di date e, più in generale, di dare all'opera quell'esaustività che è propria, solo, dei grandi progetti enciclopedici. Felice corollario a tale operazione è la stesura, curatissima, delle bibliografie e soprattutto dei cataloghi delle opere: particolare àmbito in cui il DEUMM sembra addirittura superare, in precisione e completezza, il "New Grove", ponendosi come privilegiato punto di riferimento per gli studiosi di tutto il mondo.
Un'ultima annotazione: ed è sul linguaggio. Il DEUMM è generalmente chiaro, non ridondante, lineare. Le asprezze terminologiche, quando appaiono, sembrano non gratuite: in qualche modo inevitabili. Fastidiosi arcaismi linguistici si incontrano raramente, e solo nelle grandi voci risalenti alla vecchia enciclopedia. Il resto ha un tono di efficiente modernità. Unico, vero, limite: il DEUMM è noioso. Non sempre, ma spesso. La falsa equazione tra impersonalità e scientificità celebra anche qui i suoi piccoli trionfi: l'autocensura dei collaboratori spinge inevitabilmente verso una scrittura protocollare, monocorde, asettica. Dilaga l'"enciclopediese", le strutture sintattiche si inchiodano su poche elementari varianti. Rarissime le impennate linguistiche, assente qualsiasi ironia. Si obbietterà che un dizionario enciclopedico non è letteratura: se è per quello non è neanche un'ipertrofica circolare informativa.
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