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La storia "scandalosa" dell'amore fra Pietro Abelardo ed Eloisa è stata raccontata e indagata più volte, senza nulla perdere della sua suggestione e soprattutto del suo potenziale conoscitivo. Nelle vicende dei protagonisti si arriva quasi a toccare quel meraviglioso secolo XII, da loro attraversato per larga parte (Abelardo muore nel 1142, Eloisa nel 1164) e durante il quale cominciano a stabilirsi i caratteri distintivi delle idee europee sull'individuo e sull'amore. La storia è nota: il chierico, trentacinquenne o poco più ma già filosofo e maestro affermato, e l'allieva, sui vent'anni, "non ultima per bellezza", intelligente e colta; nel volgere di pochissimi anni ecco l'amore fra i due, la fuga da Parigi, la nascita di un figlio, un inutile matrimonio riparatore, la tremenda vendetta su Abelardo, l'ingresso in monastero per entrambi. Dopo, una lunga vita religiosa (più di vent'anni per Pietro, più di quaranta per Eloisa), movimentata da trasferimenti di sede e dal governo dei monasteri loro affidati, da dispute dottrinali e processi nei quali il maestro è coinvolto. Da questo periodo emergono l'autobiografia di Abelardo (la cosiddetta Historia calamitatum) e le celebri lettere, documento senza dubbio straordinario, specialmente per merito di Eloisa. Ed è infatti Eloisa (non "Abelardo ed Eloisa" o, più galantemente, Eloisa e Abelardo, come nel titolo del celebre e insuperato libro di Etienne Gilson) l'oggetto dell'indagine, attenta e insieme brillante, di Guy Lobrichon, da cui esce un ritratto tutto sommato ben riuscito e rinnovato della donna e della badessa, che è anche in parte quello dell'"altra metà" della società del sec. XII. Le origini di Eloisa rimangono di fatto oscure, anche se è probabile la sua appartenenza a una famiglia importante, vicina al potere capetingio; sono però la condotta durante i brevi anni dell'amore, la forza e la disperazione che la spingono all'ingresso in monastero per volontà del marito e soprattutto il suo operato alla guida dell'ordine del Paraclito voluto per lei da Pietro e il prestigio che l'accompagna, riconosciutole dai contemporanei (primo fra tutti l'abate di Cluny, Pietro il Venerabile), a risaltare nel libro di Lobrichon. La gloria di Eloisa è tutta in questo strenuo vivere e operare, sempre più coinvolto nelle cure monastiche e nella ricerca di una sobria perfezione benedettina; di contro, la paradossale presenza di una permanente vita amorosa, testimoniata dalle lettere, e sulla quale Lobrichon avrebbe forse potuto dirci qualcosa di più. La celebrazione di Eloisa produce di rimando un certo "ridimensionamento" della figura di Abelardo, in particolare del suo atteggiamento sentimentale, che, come l'autore ma in senso opposto, riteniamo vicino a quello messo in auge da poeti d'amore più o meno contemporanei, come Guglielmo d'Aquitania (presente nel libro, ma nei termini di una corrispondenza fra vita e poesia un po' ingenua) e soprattutto Jaufre Rudel, trovatore dell'"amore lontano". Walter Meliga
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