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Descrizione


Per immaginare Palmiro Togliatti eroe di un romanzo c'è voluta la fantasia di una scrittrice irlandese, che ha saputo trasformare la vicenda personale e politica del leader comunista durante la stagione della clandestinità in un'opera letteraria. Dai ricordi del compagno Ercoli, rinchiuso nel carcere della Santé dopo lo scoppio della guerra, emergono molti personaggi della nostra storia politica: Gramsci, Bucharin, Serra, Longo, Silone. E poi ancora l'amore per Elena, la famiglia, le amicizie si mescolano alla lotta politica, alle fughe, ai sospetti, in una narrazione avvincente dalla quale emerge la figura antiretorica di un uomo lacerato, un po' grigio, che non ha mai coltivato "il piacere di sentirsi grande: né grande vincente né grande perdente, né grande eroe né grande mostro, né un Minotauro come Stalin né un Teseo che uccide il Minotauro".


Pag. 288.

Pubblicato il mese di ottobre 1999.


Julia O'Faolain, irlandese, vive a Londra. Ha pubblicato romanzi e volumi di racconti già tradotti in diverse lingue.

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Dettagli

1999
1 gennaio 1999
288 p.
9788835947004

Voce della critica


recensioni di Agosti, A. L'Indice del 2000, n. 01

La vicenda del comunismo, con le sue grandezze e le sue miserie, costituisce da sempre un terreno fertile per la letteratura. Non occorre ricordare quanti capolavori abbia ispirato la tragedia dello stalinismo, a cominciare dal memorabile Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler (1940; Mondadori, 1996), fino ai Racconti della Kolyma di Varlam ≥alamov (1961-67; Einaudi, 1999; cfr. "L'Indice", 1999, n. 12). Il mondo del movimento comunista internazionale ha ispirato anch'esso, ma più raramente, la fantasia degli scrittori. E finora non l'aveva ispirata la figura di Palmiro Togliatti.
La sfida - perché di una sfida si tratta, riguardando un protagonista la cui dimensione privata e psicologica è stata sempre relegata sullo sfondo dal suo ingombrante ruolo pubblico - è stata raccolta da una scrittrice irlandese, Julia O'Faolain. Autrice di formazione cosmopolita, con una laurea a Roma - dove suo padre, a sua volta scrittore, è stato ambasciatore - e una alla Sorbona, Julia O'Faolain si è già cimentata nel romanzo storico, fra l'altro ambientandone uno nella Roma clericale di Pio IX.
Il suo libro, di lettura avvincente malgrado qualche lungaggine e qualche stonatura di cui dirò, ha due dimensioni: una rigorosamente storica, l'altra di vera e propria fiction e di approfondimento psicologico. La ricostruzione della vita di Togliatti e degli ambienti in cui si muove per più di vent'anni è fedele e accurata fino allo scrupolo, nutrita di letture aggiornatissime sulla storia del Pci, ed è a mio giudizio la cosa più riuscita del romanzo. Alla Torino operaia dell'occupazione delle fabbriche e della strage di dicembre sono dedicate pagine vivide e non di maniera, in cui l'unica nota un po' falsa è forse l'improbabile offerta che un ex-compagno di liceo fa a Togliatti di entrare alla Fiat.
Rievocata con efficacia è l'atmosfera inquietante e oppressiva dell'Hotel Lux a Mosca, quartier generale dei professionisti della rivoluzione mondiale, con la sua vita di penuria quotidiana appena attenuata dai piccoli privilegi (un bagno privato per Ercoli e la moglie Rita, e anche per Teresa Noce, che trasforma però la vasca in letto e in armadio), e sullo sfondo il sospetto che rode, l'incubo della delazione: un quadro in cui si avverte un'eco non banale di certa letteratura sovietica (un nome per tutti: Jurij Trifonov). Non sempre ugualmente felice Julia O'Faolain è nel rendere il clima misto di eroismo e di sconforto delle retrovie del fronte della Spagna repubblicana, su cui aleggia l'ombra della sconfitta, forse perché qui la storia privata dei protagonisti prende il sopravvento su quella pubblica; e decisamente più scontate sono le pagine che aprono il romanzo, in cui rivive, sia pure di scorcio, una molto malapartiana Napoli del '44. Per contro è tratteggiato con grande finezza il mondo del carcere - Fresnes e la Santé a Parigi - con le sue cadenze scandite da piccoli gesti quotidiani e il rimuginare inquieto del prigioniero sul passato.
Su questo sfondo realistico si muovono altrettanto reali personaggi storici, e qui probabilmente uno storico di professione non è il giudice più adatto per dire della loro riuscita letteraria. Nella caratterizzazione psicologica dei personaggi collaterali mi è sembrato ben riuscito il ritratto di Rita Montagnana, donna forte e concreta, della quale Togliatti non è più innamorato, ma a cui lo lega un vincolo ancora vivo di solidarietà e di affetto; e ancor più quello del figlio Aldo, bambino introverso e difficile, segnato indelebilmente dall'atmosfera di tensione e a tratti di tragedia in cui cresce. Meno felici e a tratti un po' caricaturali le raffigurazioni di Teresa Noce, di Paolo Robotti e di Luigi Longo. Di Gramsci è richiamato con insistenza perfino eccessiva il contrasto tra la vivida intelligenza e la deformità fisica; ma è strano che Ercoli lo ripensi solo nella Torino dell'"Ordine Nuovo" e non invece, come apparirebbe logico, nell'incessante vagare dei suoi pensieri quando è in carcere a Parigi, anche lui prigioniero; e che rivada solo di sfuggita al doloroso strappo che segna il loro rapporto nel 1926.
Tra questi personaggi collaterali e in fondo minori va annoverato anche Silone, che pure è il "guardiano notturno" del titolo. La strana metafora vuole evocare le funzioni di custode della coscienza critica e dell'integrità morale del partito che lo scrittore abruzzese si è arrogato e che Ercoli stesso non è - almeno per un certo periodo - alieno dal riconoscergli. Ma la sua figura drammatica, tormentata e certo anche ambigua - come è emerso da ricerche recenti (cfr. "L'Indice" 1999, n. 9) - viene restituita in modo un po' goffo e qui davvero caricaturale. Più persuasiva è la raffigurazione di Suarez, se non sbaglio l'unico personaggio di totale fantasia del romanzo, un socialista spagnolo attivo nel Sim, il Servizio di informazioni militari, che opera senza andare troppo per il sottile nella repressione della "quinta colonna". Suarez ha salvato la vita di Togliatti nei giorni della fine della Repubblica, e si ripresenta a lui nella prigione di Fresnes: figura ambigua, inquietante, che si indovina legata alla polizia politica sovietica, e che, ora a sua volta in pericolo, esige - sempre in modo allusivo - l'estinzione del debito che Ercoli ha contratto. Finirà ammazzato da un'auto: un incidente in cui è facile vedere la mano onnipresente del Nkvd.
Su questo sfondo molto reale si snoda la storia d'amore che è il centro del romanzo; una storia vera anche questa, dal poco che si sa, ma circondata dalla più assoluta discrezione fino a quando non ne parlò con misura Gianni Corbi nel suo Togliatti a Mosca (Rizzoli, 1991): il rapporto intenso di Ercoli con Elena Lebedeva, una ragazza bellissima e di molti anni più giovane di lui, proveniente da una famiglia di borghesi esiliati a Parigi, ma dedita anche lei alla causa della rivoluzione, tanto che si è impiegata nell'apparato del Comintern. Su questa storia Julia O'Faolain lavora ovviamente quasi solo di fantasia: e i risultati sono diseguali.
La vicenda dei due innamorati, coinvolti nel classico triangolo in cui il terzo vertice è il marito italiano di Elena, Davide Maggioni, anche lui al servizio del Comintern e poi del Sim in Spagna, ha indubbiamente alcuni aspetti della telenovela: non tanto per certi dissacranti flash sull'intimità del Migliore, ma per la macchinosità e la ripetitività delle situazioni, e soprattutto perché convincono poco i personaggi di Davide ed Elena. La figura della seconda, un po' fatua e capricciosa, con una punta di trasgressività che irrita l'in fondo "benpensante" Togliatti, non regge davvero il ruolo che le è affidato nella storia, e soprattutto non si capisce bene che cosa ci faccia in quel mondo e in quelle situazioni. Quella del primo ha una sua dimensione tragica, ma su questa prendono troppo spesso il sopravvento gli aspetti grotteschi del suo carattere: instabile, guascone, "sciupafemmine", devoto insieme alla moglie di cui è innamorato, e a Ercoli, di cui è geloso ma a cui riconosce l'aureola di "capo".
La storia diventa però un pretesto per un approfondimento psicologico insistito e non banale della figura di Togliatti. A dir la verità mi pare che questa impresa riesca all'autrice meglio quando si sofferma sui rodimenti interiori del personaggio nella sua dimensione pubblica e politica che quando si sforza di penetrare la sfera dei suoi sentimenti più intimi. O'Faolain riesce a restituire in maniera apprezzabile il complesso rapporto di Togliatti con l'ideale a cui ha votato la sua vita, i suoi dubbi fatti tacere in nome della fede nel compiersi del disegno che cammina nel senso della storia e a cui tutto si sacrifica, la costante scelta del "male minore" ("Ma che altra scelta c'è per chi fa una guerra giusta? - si domanda Ercoli in prigione - Chiedilo a qualunque teologo"). E credibile - anche se su questo terreno le prove documentarie sono abbastanza labili - appare anche l'assillo di poter essere risucchiato in ogni momento nell'ingranaggio della repressione staliniana. I tormenti amorosi di Togliatti, ogni volta che occupano il proscenio della narrazione, non aggiungono invece molto all'umanizzazione del personaggio, un risultato al quale l'autrice riesce ad arrivare attraverso un'immedesimazione non acritica né apologetica ispirata a una pietas di fondo, in qualche modo partecipe delle insuperabili lacerazioni a cui si sottopone la sua coscienza nei tempi di ferro e fuoco che egli attraversa. Il privato resta sovrapposto al pubblico in modo non risolto: le due metà di Togliatti finiscono per rimanere troppo distanti e incomunicabili tra loro. E tuttavia, alla fine del libro, resta impresso un ritratto del protagonista che aiuta a capire oltre e più che a giudicare.

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