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scheda di Isselstein, U., L'Indice 1987, n. 8
L'Irlanda - questa è l'impressione dominante alla lettura delle bellissime "Fiabe Irlandesi" di James Stephens (1882-1950) - si conosce attraverso i suoi poeti. Yeats, Synge, Joyce: non viene in mente nessun altro paese i cui poeti abbiano saputo ricreare con pari forza suggestiva, col magnetismo segreto e contagioso delle loro metafore e invenzioni narrative, l'essenza spirituale e immaginaria della loro terra. Ne è un esempio incantevole questo libro, del 1920, di uno scrittore minore, amico di James Joyce, cui i manuali dedicano appena qualche riga nel contesto del "Celtic revival". Stephens vi rielabora delle antiche saghe celtiche che Melita Cataldi, esperta in cose gaeliche, ci presenta con una breve ma esauriente introduzione, corredando ogni racconto con una scheda filologica.
Sul canovaccio di manoscritti medievali mal tramandati , Stephens compone un racconto ciclico la cui cornice riesce a riassumere in sé un momento cruciale della storia irlandese: il trapasso dall'età pagana a quella cristiana, scansando quasi sempre - Wagner librettista insegna - le insidie del cattivo gusto pseudomitologico.
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