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Ci sono epoche che portano in sé il germe della disillusione. Come quelle dopo la guerra, che con le macerie dei bombardamenti si trascinano desolazione e cinismo tra le conseguenze morali inevitabili. A Napoli la seconda Guerra mondiale non aveva solo devastato intere famiglie e messo in ginocchio una città già prostrata dalla povertà: aveva ridotto, come nel resto d’Italia d’altronde, anche il racconto stesso sulla realtà a cosa da riscrivere entro i margini della censura fascista. È in questa Napoli del dopoguerra che Vincenzo Esposito, vice-redattore capo del Corriere del Mezzogiorno, ambienta il suo romanzo d’esordio Il Fratello Minore (Homo Scrivens Edizioni). Protagonista è Marcello Narducci, un ex soldato che ha tra i ricordi anche le Quattro Giornate, quarantatreenne dal naso affilato e gli occhi verdi alla Marcello Mastroianni, che proprio non ce la fa, a fare il giornalista. Per lui le notizie sono accidenti del destino in giornate che potrebbe trascorrere tranquillamente con i piedi sulla scrivania, e i sentimenti sono un’opzione non desiderata. In una città di inizio anni ’60 che a fatica si sta riprendendo dalle vicende belliche, si ritrova catapultato all’improvviso a fare il cronista del quotidiano Roma e un giorno, suo malgrado, alle prese con l’omicidio di un’intera famiglia nel cuore di Napoli. Gli si risveglia così la vocazione per la notizia e la scoperta della verità si intreccia con l’amicizia con il giovane – e sensibile – tenente Olivares, la rivalità emotivo-affettiva con la giovane collega Eleonora Pennisi e la complicità con la gente dei vicoli di Napoli, primo tra tutti con un portiere impiccione. Ma soprattutto l’indagine lo porterà a scoprire un legame onirico e surreale con il fratello maggiore mai conosciuto, morto nella Grande Guerra.
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