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Gaio Fratini manca da venti anni e, nell'anno in corso, centenario della nascita, riceve la riscoperta e il giusto riconoscimento della sua opera.
«Un libro, ricco di contributi, ricorda lo scrittore e giornalista scomparso, amante della letteratura epigrammatica e irriventente» - Raffaella De Santis, Robinson
Gaio è sì il principe degli epigrammisti, conosciuto per la sua satira pungente, spigolosa, erudita e sontuosa. Ma oltre a esercitare questo ruolo di mentore e di moralista, di iconoclasta, di fustigatore volto a rilevare e rivelare sconci etici e nature truffaldine dei connazionali – memore del suo indimenticato maestro Aldo Capitini – Gaio è soprattutto un poeta a tutto tondo. Lirico e romantico, perfino crepuscolare quando, intingendo la penna nell'inchiostro della nostalgia malinconica, dipingeva la propria terra, un'Umbria amata quanto ingrata dove tuttavia tornò e morì. Come la lettrice e il lettore si accorgeranno, questo libro è un atto risarcitorio di una vita fatta di arte e di generosa cultura, ma alla continua spasmodica ricerca di un ubi consistam, non di prebende o sinecura in equilibro fra dare e avere. Dopo la morte, il suo nome, la sua memoria sono scivolati – per usare una parola che da giocoliere linguistico e lessicale qual era lo mandava in giuggiole – nell'oblivione, rimanendo come una sorta di fantasma nella sovente bolsa repubblica delle lettere nostrane, afflitta da voti di scambio che compromettono i valori autentici. Gaio non aveva santi nel “paradiso altissimo e confuso”. E quando c'erano li metteva, orgogliosamente testardo, a dura prova. Lo spunto del libro, infine: due manciate di lettere e cartoline, caotiche e bellissime, spedite a due amici umbri che volevano un gran bene a lui e ad Arianna e testimoni della sua ‘rabbia' e del suo commovente amore per l'Umbria. E alcune missive autobiografiche per caso ritrovate da Filippo Ceccarelli. Da qui questo tenero ricordo. Prefazione Filippo Ceccarelli. Postfazione Vittorio Sgarbi.L'articolo è stato aggiunto al carrello
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