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Anno edizione: 2004
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Oziosa quanto basta e tremendamente infantile pur dopo le calde cicatrici di un conflitto mondiale, una piccola flotta di personaggi esclusivi si ritrova a Crome, castello e stupenda tenuta aristocratica, incrociando pian piano nei propri dialoghi la lenta storia del loro vuoto manierato e dei loro desideri inconsistenti. Un fraseggio di sguardi accidiosi, stupidi capricci, sotto una cappa di agiatezza vana che è l'arido sigillo di un ceto spento in ogni sentire. Melanconie postprandiali, complimentosità e spreco di tempo che coronano il passo del racconto come in feroce adagio che è un'accusa. Come se la paura passata dovesse ridarsi fiato in una specie di rimosso subitaneo dove la ricchezza certo può aiutare, sollevare animi e coscienze, ma fino a che punto? Si può dar vita a una nuova epoca, a fioriture sociali autentiche, con una grammatica dell'agire e dell'essere che è pura superficialità? Huxley scava nelle sorgenti della frivolezza, nell'insania forzata del costume, nelle vanaglorie e nei fasti sempre più decadenti del facoltoso, del bello, del cortese. Lo scontro tra l'azione e l'idea in definitiva, la sostanza contro la patina, in uno stuolo di personaggi che non potranno che toccare, oltre ogni titolo, lo smalto del preconcetto e l'ignavia della forma. Tolto Denis, il bohemien, il poeta (colui che narra) che avvertirà chiaro, nel finale, il sussulto di una verità più alta raggiungerlo in fondo al cuore, e che scapperà da tutto e da tutti inviandosi un telegramma finto e riappropriandosi di un'oncia di sé, dopo fumi e fiumi di flaccida incomprensione. Più di una volta lo stesso Huxley darà sintesi a questa storia latineggiando in tal modo: Vox et praeterea nihil...Una voce e nulla più.
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