A tre anni dalla sua registrazione viene finalmente pubblicato Guantanamo, già noto e collaudato progetto di Fabrizio Puglisi, diventato anche nome del gruppo, sorta di immaginifico viaggio da Cuba a New York, passando per l’Africa. In questo contesto il pianista, siciliano ma ormai bolognese di adozione, rivendica il predominio della componente ritmica su quella armonico–melodica. Ciò risulta ancor più evidente per la presenza, oltre che dell’usuale coppia contrabbasso–batteria, di ben due percussionisti e del vibrafono di Pasquale Mirra. Tradizione e modernità trovano così un suggestivo equilibrio, sia che vengano eseguiti brani originali, come l’ipnotica composizione che apre e dà il titolo al disco, che s’inserisce nel solco della tradizione afro–cubana, sia che vengano riletti capolavori del jazz come la tristaniana Turkish mambo o Un poco loco, di Bud Powell. Puglisi ribadisce con “Giallo Oro”, se mai ce ne fosse bisogno, che la poliritmia non è solo al centro della musica africana ma anche del jazz, comunque lo si voglia leggere. Solista eclettico, dal fraseggio estremamente sciolto e dinamico, qui mette in mostra il suo stile più percussivo ed incalzante, estremamente funzionale al progetto, anche quando utilizza il pianoforte in modo poco convenzionale, o addirittura il synth arp. Da segnalare ancora una coinvolgente Ogun, melodia tradizionale nigeriana che si avvale della partecipazione della cantante cubana Venus Rodriguez, da tempo stabilitasi a Bologna, così come il tributo ad Ernesto Lecuona, uno dei più importanti compositori e pianisti cubani, di cui viene riletta La comparsa, danza composta nel 1912, a soli 17 anni. Così come lo aveva aperto, è ancora un brano del leader – al Fender Rhodes – a chiudere il lavoro. Song for Doudou, composizione dedicata al celebre percussionista senegalese Doudou Ndiaye Rose, scomparso nell’agosto 2015, sintetizza al meglio la raffinata ricerca ritmico–sonora di Fabrizio Puglisi, non distante da certo minimalismo percussivo.
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