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Giovanni Episcopo - Gabriele D'Annunzio - copertina
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Descrizione


Il primo romanzo breve di Gabriele D’Annunzio Giovanni Episcopo di Gabriele D’Annunzio (1863-1938), pubblicato nel 1891, è un romanzo breve che segna una tappa fondamentale nella formazione narrativa dell’autore. La vicenda è quella di un uomo semplice e mediocre, incapace di imporsi nella vita e destinato a soccombere di fronte alle umiliazioni e alla brutalità del destino. In un intreccio di fragilità, passioni frustrate e violenza latente, D’Annunzio costruisce il ritratto di un antieroe che, lontano dalle figure titaniche di altre sue opere, incarna la debolezza universale dell’uomo comune. Lo stile alterna lirismo e tono confessionale, offrendo un racconto insieme intimo e spietato, capace di anticipare temi e sensibilità che diventeranno centrali nella narrativa del Novecento.
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Dettagli

2025
16 settembre 2025
91 p., Brossura
9791259917508

Valutazioni e recensioni

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Luca Aquadro
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"Illustre signora, mia cara amica, questo piccolo libro che io vi dedico non ha per me importanza di arte (...) Fu scritto a Roma nel gennaio del 1891, dopo quindici mesi di completo riposo intellettuale (...) Mi pareva che tutte le mie facoltà di scrittore si fossero oscurate, indebolite, disperse (...) Ecco, mia cara amica, la genesi di questo piccolo libro che io vi dedico". In pratica, detto papale papale e visto che l'autore si trovava a Roma, ti sto dedicando 'na sòla. Del resto, da uno come D'Annunzio ci si può aspettare di tutto, (i)sòle comprese... Che si sia trattato della sindrome da opera seconda? Dopo un capolavoro o, comunque la si pensi, un grande successo come "Il piacere" (1889), un passo falso ci può anche stare. Sta di fatto che, da grande amante di D'Annunzio quale sono senza alcuna vergogna, devo ammettere che del suo secondo romanzo, "Giovanni Episcopo", si poteva anche fare a meno. Tuttavia della (breve) vicenda dell'impiegato protagonista ed eponimo del libro, che confessa in prima persona una sequenza quasi fantozziana di sventure culminata in un delitto finale tanto prevedibile quanto brevemente descritto, salvo almeno due cose: da un lato, come per gli studenti mediocri, l'impegno dell'autore per cercare nuovi stimoli e un nuovo stile dopo il successo dell'opera prima e, soprattutto, la sua ammissione di non aver studiato (quanti scrittori avrebbero oggi il coraggio di scrivere una dedica così autocritica?); dall'altro il fatto che, trattandosi pur sempre di un grande scrittore, qua e là qualche tocco di bravura emerga nella mediocrità generale dell'esperimento. "C'è chi cammina in mezzo a un popolo come in mezzo a una foresta d'alberi tutti eguali, indifferente; ma c'è qualcuno, continuamente ansioso, che cerca in ogni volto la muta risposta a una muta domanda. Per costui non ci sono su la terra stranieri." "Ciro, Ciro, figlio mio!" nella terzultima pagina del romanzo è invece involontaria prefigurazione di Sandra Milo. Povero Vate...

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Gabriele D'Annunzio

1863, Pescara

Debuttò giovanissimo con la raccolta di versi Primo vere (1879), cui seguì nel 1882 Canto novo, nel quale è evidente l’imitazione di Carducci temperata da una già personale vena sensuale e naturalistica. A Roma, dove iniziò (ma non concluse) gli studi alla facoltà di lettere, D’Annunzio visse all’insegna della mondanità e dell’estetismo, sempre alla ricerca di nuove sensazioni in nome di un compiaciuto erotismo al quale sarebbe rimasto fedele sino alla fine con ossessive varianti. Dal decadentismo europeo assimilava, intanto, ideali di sensibilità e di raffinatezza e il gusto del tecnicismo formale: nacquero così, accanto ad alcune raccolte di versi, romanzi come Il piacere (1889), Giovanni Episcopo (1891)...

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