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Alla sua seconda prova consistente dopo Relazione sul nascere (ExCogita 2003), Carla Ammannati ritorna ai suoi temi e problemi preferiti, i rapporti o piuttosto i vincoli fra le persone, lo scontro dei caratteri, il mistero dell'amore, la necessità della procreazione, i bambini, la loro vita e la loro morte nel mondo il tutto inquadrato dalla vicenda pubblica e nella storia politica dell'Italia, con il nucleo portante dell'antifascismo come resistenza spontanea, istintiva prima, e militante, cosciente e combattiva poi, fino a confluire in pratiche di vita che solo donne possono avere come protagoniste, donne libere da sempre, per naturale vocazione, ma che esprimono la propria libertà in modi e con scelte diverse, a seconda del periodo storico in cui vivono e scoprono se stesse, le proprie qualità più recondite. Qui Siliana, donna dei nostri anni, campione di libertà e di indipendenza dalle regole, cui è affidata parte del racconto in prima persona; Zina, la madre guaritrice, bella e zoppa, cercata dagli uomini e dalla comunità, mai per generosità ma per concupiscenza, interesse, egoismo violento, cui lei oppone un attaccamento intemerato alla vita, sua e degli altri per i quali è pronta a sacrificarsi; Iris, la figlia di buona famiglia che ad essa si ribella in tutto; la nonna Elena, chiusa anche lei nella sua scorza di contadina, ma solidamente consapevole del proprio destino e delle proprie prerogative. Sono eroine per vocazione irriflessa, senza la minima coscienza o pretesa di esserlo, che prendono le loro disgrazie ed esprimono le loro reazioni senza il minimo lamento o compiacimento, con assoluta e ribadita naturalezza. Nelle generazioni prima della guerra sono del tutto lontane dal mondo delle idee e dei proclami che le circonda; nelle generazioni successive a quel mondo si indovinano più vicine, ma non per maturata convinzione. Il loro genere è se mai la canzonetta, come dice Truffaut nel passo in esergo: «Ascolto solo canzoni. Perché dicono la verità. Più sono stupide, e più sono vere». Accanto a loro uomini di cui si intuisce la natura accanita, predatoria, o semplicemente, svagatamente anarchica, che nel mondo femminile compaiono come fantasmi di ideologia, o, al meglio, emblemi di sopravvivenza. Anche il personaggio di Pacifico, l'antifascista confinato a Ventotene, che pure si direbbe parente delle figure dei Colorni, delle Ravera, dei Rossi e degli Spinelli cui il romanzo è dedicato, non acquista risalto per una qualsiasi riflessione né tanto meno per una pronunciata virilità, quanto per un residuo di sensualità che lo sostiene anche nella prigionia. Quattro sono le generazioni che compaiono nel racconto, e tante le storie individuali tante da far desiderare uno sviluppo ben maggiore con due discriminanti abbastanza chiare: la prima riguarda la divisione fra mondo femminile e mondo maschile di cui abbiamo parlato, e la seconda la singolarità, anzi l'unicità dei caratteri e dei personaggi della prima parte della storia, fino al dopoguerra, cui si contrappone la prevedibilità di quelli dal dopoguerra in poi, che accanto alle loro madri e ai loro padri appaiono sbiaditi dall'ambiente conformista dell'oggi. La vicenda nasconde anche un segreto che si rivela solo alla fine, e che riguarda l'origine delle turbe nervose che, fin dalla prima pagina, investono la narratrice nei momenti cruciali: si tratta di un aspetto metanarrativo e riassuntivo dell'intera trama, della cui scoperta non vogliamo privare il lettore.
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