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C’e qualcosa da approfondire su alcune architetture di Herzog & de Meuron (H&deM), già più volte pubblicate all’interno di riviste nazionali e internazionali? La risposta, affermativa, la dà questa monografia di A. D’Onofrio, l’unica al momento in lingua italiana in grado di orientarci nella produzione degli svizzeri, alla base della quale, anche a prima vista, s’intuisce un rigoroso metodo di analisi delle opere narrate, fondato su una laboriosa “ricognizione sul campo”. Il testo, corredato da apparati e da efficaci immagini, si compone di due parti suscettibili di lettura autonoma: l’elaborazione teorica acquista spessore grazie alle schede di analisi che descrivono gli edifici attraverso indicazioni tecniche immediatamente rapportate ad implicazioni formali. La puntualità delle osservazioni con cui l’autore racconta le architetture di H&deM può essere prerogativa esclusiva di chi le abbia effettivamente abitate al fine di carpirne dettagli costruttivi e soluzioni tecniche, d’intenderne valenze spaziali e formali, prima di esprimere un giudizio. Quest’approccio pragmatico dovrebbe essere praticato con frequenza come antidoto al carattere approssimativo che appartiene talvolta alla critica di architettura, spesso costruita su immagini di riviste o su copie di materiale originale inviate dai progettisti. Già il titolo, un ossimoro individuato da termini incongrui come “anomalie” e “norma”, evoca la natura ambigua che nell’opera degli svizzeri emerge dalla dissonante combinazione di una rigorosa adesione alle istanze funzionali con la “provocazione” volta a sorprendere, generata da artifici tecnologici. Indagando se e in che modo per H&deM si possa parlare di adesione al postomodernismo, al minimalismo o al supermodernismo, d’Onofrio individua nel carattere sperimentale del loro operato un’invariante che li guida nell’approfondimento di potenzialità compositive e li conduce ogni volta ad
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