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Marijane Meaker, prolifica scrittrice americana, che sotto pseudonimo (Vin Packer, Ann Aldrich, M.E. Kerr, Mary James) ha pubblicato romanzi, saggi, racconti e narrativa per ragazzi, ripercorre, a distanza di mezzo secolo, la sua storia d'amore con Patricia Highsmith, offrendone un ritratto che sa di privato e pubblico insieme, e permette di sbirciare in quell'America degli anni cinquanta che ospitò la loro relazione.
Nessun filtro, all'inizio, per l'ignaro lettore: "L's si trovava in una stradina secondaria del Greenwich Village, un bar per lesbiche scuro e tagliente". Una sola frase, ed eccoci entrati, per non dire scaraventati, nella New York sotterranea della vita omosessuale. L'autrice pare attuare una sorta di accompagnamento alla rovescia nei confronti del lettore: non una graduale iniziazione all'ambiente, ma quasi una forzatura che si ammorbidisce a poco a poco. Si familiarizza così con un lessico spesso duro e molto diretto, si impara quel sottile e sottinteso codice di comportamento a cui tutti gli omosessuali dell'epoca si adeguavano, per giungere a più amare e intime considerazioni da parte dell'autrice, a espressioni quali "noi segregati", alle quasi rabbiose rivendicazioni dell'omosessualità di celebrità quali Auden e Nureyev. Il tutto senza sfiorare mai il sentimentalismo né l'autocommiserazione.
E non è solo questa America ad apparire nella sua totalità sin dall'inizio: "Una bella donna dai capelli neri con un impermeabile" compare già nella prima pagina, senza presentazioni né commenti. È Patricia Highsmith, che sarà presto Patricia e poi, sempre, Pat. Nessuna suspense per il lettore sulla nascita, l'evoluzione e la fine di questa relazione: il narratore non è la Marijane degli anni cinquanta, ma la Marijane attuale, con un punto di vista attuale e la consapevolezza di tutto ciò che è accaduto. Piccoli segnali iniziali compresi: Pat è una grande viaggiatrice, Marijane no; Pat è una bevitrice che non permette all'alcol di rallentare il suo lavoro di scrittrice, mentre Marijane ne subisce gli effetti; Pat pubblica in edizione rilegata, Marijane in brossura; Pat intuisce le "tortuosità della mente" ed è lontana dalla psicoanalisi, Marijane legge Freud per comprendere.
L'unica tensione tangibile che si avverte in queste pagine è quella dettata dal timore di sentir pronunciare a Pat la parola "Europa", e con essa la Francia, l'Italia, Parigi, Roma: Europa, per Pat, significa maggior riconoscimento del suo lavoro di scrittrice, maggior accettazione della sua omosessualità, ma anche ricerca di un qualcosa che, in realtà, lascia sempre insoddisfatti, dovunque si vada. Un asino che se ne va in giro per il mondo non torna cavallo, la ammonisce Marijane.
Nessun dubbio da parte del lettore, dunque, sul fatto che Pat vada, prima o poi, in Europa, ma quando? Il più tardi possibile, è il pensiero segreto e mai pronunciato di Marijane. "La nostra nuova vita cominciava con le lacrime di Pat": ecco l'amaro commento, a posteriori, dell'autrice. La complicità è forte, per qualche mese, ma quei piccoli segnali iniziali che l'autrice ha immediatamente reso noti non tardano a emergere, insieme a quella "troppa colpa" che "ci portiamo dietro" e che, nel piccolo paese americano, si fa sentire più che nei locali di quell'Europa che Pat, incessantemente, cerca. E così, mentre Marijane compie le sue ricerche su Arshile Gorky per il libro dedicato ai suicidi, Sudding Endings, Pat le confessa che soltanto uno dei drammi che precedettero il suicidio dell'artista potrebbe annientarla: né il collo rotto né la perdita dell'amata riuscirebbero a distruggerla, ma un incendio di tutto quanto da lei scritto, sì. Marijane, invece, non avrebbe la forza di risollevarsi né dal danno fisico, né dalla perdita dei propri scritti, né dalla sofferenza d'amore. Leggasi, naturalmente, dalla perdita di Pat.
La conversazione finisce qui, senza riflessioni da parte dell'autrice, senza confessioni né rielaborazioni: semplicemente, questi sono stati i fatti, così come fu un fatto che due donne non potessero avere figli, che Pat bramasse l'Europa, che la famiglia di Marijane non accettasse la sua relazione. L'autrice leggeva Freud, sì, ma in questo romanzo su Patricia Highsmith non lascia spazio all'introspezione: il tono è deciso, lo stile piuttosto asciutto, il sentimentalismo totalmente assente. La sensazione è spesso quella di "saltellare" da una situazione all'altra, attraverso flashback, nomi di scrittori e titoli di libri, critici letterari e riviste, citazioni di recensioni e lettere: quasi fosse un collage di quegli anni cinquanta, i cui elementi a volte si amalgamano e altre rimangono lì, soli, come un frammento o un ricordo scritto per sé, su uno sfondo noto soltanto all'autrice e all'amata.
Un non-detto come invito a completare il ritratto di Pat, a immaginarla, forse? Quella Pat che si muove ondeggiando sui tacchi, nello stesso modo in cui ondeggia a causa dell'alcol: fattori entrambi snaturanti per la vera Patricia Highsmith, e sicuramente dannosi, la gonna non meno dell'alcol.
Francesca Ferrua
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